EDITORIALE

 

Appena entrati all’Arsenale per visitare la Biennale di Architettura 2021, troviamo appesa a un muro una strana tovaglia da tavola bianca su cui, ad ogni lato, si apre il colletto di una camicia: una tovaglia indossabile, che invita (o forse costringe?) tutti i commensali alla collaborazione. Four Shirt Collars Sewn into a Tablecloth (1991) è un lavoro di Allan Wexler, artista ed educatore, che in modo ironico e poetico si interroga su come contesti e strutture sociali influenzino le nostre abitudini e comportamenti.

Con la grande installazione Interwoven, composta da moduli di legno dalle forme diverse, lo studio leonmarcial arquitetos rappresenta l’intrecciarsi delle famiglie e dei loro ambienti, individuando nella rielaborazione degli elementi sociali di base il motore per un cambiamento della società in direzione più equa e dinamica.

Con How To Begin Again, un “esercizio di consapevolezza in 4 fasi”, Cohabitation Strategies ci invita a scrollarci di dosso secoli di tirannia capitalista, a fare spazio a nuovi sogni e desideri, a costruire un senso di solidarietà, per contrastare i processi di urbanizzazione selvaggia che distruggono ambienti e comunità. Queste sono solo alcune delle risposte che il curatore della Biennale Hashim Sarkis ha ottenuto dagli architetti quando ha posto loro la domanda epocale: How will we live together? Là dove la politica non trova soluzioni stimolanti, i pensatori creativi che danno forma agli spazi in cui viviamo ne stanno immaginando di nuovi, in cui la parola chiave sembra essere proprio quel together.

 

In questa cinquantottesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata ai progetti e alle istituzioni culturali di cui siamo portavoce, nella sezione RACCONTI trovate Caterina Iaquinta, docente del Dipartimento Design della NABA Nuova Accademia di Belle Arti Milano, con un'introduzione alla storia di Monte Verità; Daniela Trincia, curatrice e contributor per Art a part of (cult)ure, Exibart, Doppiozero, ci racconta il suo incontro con Robert Breer, attualmente in mostra alla Fondazione Antonio Dalle Nogare di Bolzano; Alessandra Galletta – critica, curatrice e autrice di programmi culturali in televisione – intervista la fotografa Marialba Russo, la cui personale Cult Fiction è in corso al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato.

La parte dedicata ai VIDEO comprende And Flowers / Words, il progetto editoriale che ogni mercoledì porta sul sito di miart una conversazione tra il Direttore Artistico Nicola Ricciardi e personalità del mondo artistico e culturale italiano; e una clip tratta dal primo episodio de LE FOTOGRAFE, la prima docuserie dedicata alle fotografe italiane in onda su Sky Arte da lunedì 24 maggio.

La sezione EXTRA raccoglie invece Arnaldo Pomodoro. To scratch, draw, write, la mostra a cura di Flaminio Gualdoni alla galleria ABC di Genova; la nuova segnaletica inclusiva e i nuovi format dedicati a genitori con bambini piccoli della GAMeC di Bergamo; e un contributo audio con le parole del curatore Marco Tagliafierro – lette dall'attore Sergio Leone – sulla mostra Dolls and Goddesses di Vanessa Safavi a Cascina I.D.E.A.

 

Buona lettura!

Lo staff di Lara Facco P&C

#TeamLara

 

Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com

 

TELESCOPE. Racconti da lontano

Ideato e diretto da Lara Facco

Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana

Ricerca ed editing Francesca Battello, Camilla Capponi, Barbara Garatti, Marta Pedroli, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, con la collaborazione di Alberto Fabbiano, Giulia Notarpietro e Andrea Toro.

 

domenica 23 maggio 2021


RACCONTI

 

 

Dal Monte Verità all’ “elisio”: alla ricerca di una riforma della vita, di Caterina Iaquinta

 

La vergogna ci ha vestiti, l’onore ci denuderà di nuovo. Sono queste le parole che incorniciano uno dei pochi ritratti fotografici di MEVA in cui M sta per mente e maschio ed EVA sta per prima femmina e madre l’uomo della natura, nato Josef Raphael Salomoson, ex-console olandese e, all’inizio del XX secolo, tra gli abitanti più solitari e radicali della collina del Monte Verità.

Lo stesso Monte che, estendendosi dalle spalle di Ascona fino a formare una penisola a Ovest del Lago Maggiore, nel 1900 si presentò agli occhi di Ida Hofmann, Henri Oedenkoven, Karl e Gusto Gräser e Lotte Hattemer, come cornice ideale in cui disegnare quell’idea tanto inseguita di “riforma della vita”.

Lontano dall’essere un caso unico o sporadico in quell’area e in quel periodo, la comunità che si installò lì dove già sorgeva un sanatorio, rientrava in un più vasto movimento tipicamente nordico, che dalla seconda metà dell’Ottocento tentò di aprire la via per un’esistenza alternativa, seppure utopica, tra capitalismo e comunismo, attraverso una serie di riforme sociali, etiche ed esistenziali.

Tra le diverse tendenze che caratterizzarono il movimento rientrava anche il Clarismo, fondato intorno al 1920 da Elisàr von Kupffer, uno spirito libero dedito alla scrittura e all’arte. Di derivazione teosofica, la dottrina manteneva un accento religioso, aspetto visibile oggi nell’architettura del santuario dedicato al culto clarista e progettato da von Kupffer, insieme al compagno Eduard von Mayer, come metafora del compimento di un percorso interiore dal caos alla trascendenza.

Inaugurato a Minusio nel 1927, il Sanctuarium Artis Elisarion si presentava come un edificio neoclassico che doveva fungere da dimora privata e meta di pellegrinaggi. Nel 1939 si concluse un suo ampliamento con l’aggiunta di una rotonda, luogo simbolicamente associato al culmine dell’illuminazione spirituale, dove al secondo piano Elisàr fece collocare Il chiaro mondo dei beati, sua ultima opera pittorica. Nel dipinto di dimensioni ambientali, ispirato al culto efebico, Von Kupffer propone un omaggio all’amore omoerotico e al corpo maschile in un mondo incontaminato di pace e luce, tra lo stile de Puvis de Chavannes e i ritratti e le scene costruite e poi fotografate nello stesso periodo da Wilhelm Von Gloeden.

Nel 1978 Harald Szeemann fu il primo a mettere in atto un tentativo di collegamento tra la comunità di Monte Verità e il Clarismo che, seppure collocate a una breve distanza l’una dall’altra, non ebbero rapporti diretti. In occasione della mostra Monte Verità. Le mammelle della verità presso Casa Anatta, una delle strutture storiche del Monte, Szeemann fece costruire l’Elisarion, un padiglione in cui trasportò ed espose il dipinto di Von Kupffer che ormai versava in uno stato di degrado e di generale indifferenza. Questa scelta del curatore svizzero rientrava nel progetto di ricostruzione dell’esperienza del Monte Verità proprio lì dove ebbe luogo, forse con l’aspirazione a una ricostruzione della genesi di quella riforma che aveva coinvolto il centro Europa un secolo prima. Ma con Le mammelle della verità, secondo la straordinaria capacità visionaria che contraddistinse il suo pensiero, Szeemann su quel palcoscenico di ideale e universale fratellanza, sceglieva questa volta di rimettere in scena non solo il singolare magnetismo di quella compagine, ma anche il risvolto individualistico di quella che fu soprattutto un’esperienza edenica, segno tangibile della fine delle utopie comunitarie del decennio precedente.

 

 

Crediti:Esercizio di euritmia sul Monte Verità, 1904. Al centro, Raphael Friedeberg (con cappello), poi da s. a d. Henri Oedenkoven e Ida Hofmann, Anni Pracht, Cornelius Gabes Gouba e  Mimi Sohr. Sullo sfondo, Casa Selma. Courtesy Fondazione Monte Verità e Fondo Harald Szeemann | Rudolf von Laban con le sue allieve, tra le quali Mary Wigmann, Ascona, 1914. Fondo Suzanne Perrottet. Courtesy Fondazione Monte Verità e Fondo Harald Szeemann | Ritratto di gruppo. Courtesy Fondazione Monte Verità e Fondo Harald Szeemann


 

 

Piacere, Robert Breer!, di Daniela Trincia

 

Non conoscevo Robert Breer. Lo confesso. E il mio vizio della curiosità mi ha spinto a fare delle ricerche sulla sua biografia, sulle sue opere, sulla sua arte in generale. Quello stesso interesse che ha spinto Vincenzo de Bellis ad approfondire la figura di Robert Breer e che lo ha portato, insieme a Micola Brambilla, alla curatela della mostra Time Out attualmente in corso alla Fondazione Antonio Dalle Nogare.

Così, come spesso capita, una mostra, con uno squarcio, improvvisamente apre un mondo sconosciuto, nel quale immergersi e perdersi, in una sorta di laica Pentecoste. Leggendo degli articoli, scopro uno di quei personaggi di cui l’irrequietezza è la forza motrice di tutto il suo fare e agire. Quei personaggi che la storia dell’arte, e non solo, spesso ci regala, e che sfuggono dalle strette maglie di qualsivoglia catalogazione, perché si muovono liberamente tra più discipline, in disparati campi di ricerca, utilizzando ogni volta diversi media. Caratteristica abbastanza comune a tutta una cerchia di artisti statunitensi che, nati nel secondo decennio del secolo scorso, compiono i loro primi passi nel campo delle arti visive all’indomani della conclusione del secondo conflitto mondiale, e danno vita alle fortunate avanguardie americane.

A seconda del tipo di ricerca, Robert Breer, universalmente definito artist artist per l’influenza che l’arte dell’artista ha in artisti successivi, è indicato come regista o come pittore o come scultore. Poco conosciuto anche in Italia, molte sue opere sono, infatti, inedite nel nostro Paese, seppure presenti in altri Paesi europei. Allora, me lo immagino con i suoi baffoni e le lenti spesse dei suoi occhiali, intento a montare un video di animazione (non dimentichiamo che il suo primo film From Phases I è del 1952, che adotta tecniche innovative come il flipbook e realizza i mutoscopes), di cui è stato un pioniere, o mentre fa “volare” i suoi oggetti (Floats) e muovere le sue sculture come il simpatico Porcupine del 1967. Perché sono queste alcune delle opere esposte che attraversano i sessant’anni della produzione artistica di Robert Breer, e che mostrano in filigrana tutto il fervore artistico di quella americana di quegli anni. Probabilmente i suoi primi anni di studi in ingegneria gli sono stati preziosi per le sue “macchine” attraverso le quali modifica la percezione dello spazio. Sculture che, a volte con movimenti impercettibili, sembrano vivere di vita propria. Perché, fondamentalmente, non solo sembra intento a catturare e congelare il tempo, ma a dare vita a materiali comuni. E allora, piacere Robert Breer.

 

 

Crediti: Robert Breer. TIME OUT. Installation view at Fondazione Antonio Dalle Nogare. Foto Jürgen Eheim Fotostudio. Courtesy Courtesy gb agency, Paris


 

 

XXX vietato non guardare, di Alessandra Galletta

 

Salvati dal frastuono urbano della Napoli degli anni Settanta, sessanta manifesti del cinema pornografico esplodono nel Red Light District allestito al Centro Pecci dalla grande fotografa Marialba Russo.

"Sapevo che era qualcosa di importante, che io dovevo raccogliere e documentare" (Marialba Russo)

AG: Come descriverebbe il mondo di quegli anni? Come li ricorda?

MR: Erano anni particolari, difficili, di grandi svolte culturali, di pensiero, di comportamento e di vita. Io ero una ragazza che si interessava alle feste religiose e a tutte le manifestazioni del mondo subalterno dell’Italia centro-meridionale. Questo lavoro si è inserito in una maniera abbastanza misteriosa, è nato in modo casuale, particolare: camminando per strada, nel caos della città. Erano anni di grande fermento e cambiamento anche a livello visivo, urbanistico, ed erano strade confuse piene di gente e di rumori. In tutto questo, nel caos urbano, si inserivano questi manifesti. Volevo capire ancora di più il fenomeno, anche come espressione del momento. Andavo in giro per le strade a cercare i manifesti.

AG: Manifesti che pubblicizzano esplicitamente film pornografici, ma anche molto altro si intravvede nelle sue inquadrature: passanti, banchetti del mercato, avvisi comunali, auto… e persino necrologi. Come ha stabilito i ‘confini’ delle sue immagini?

MR: Mi sono chiesta fino a che punto l’elemento esterno, l’elemento urbano, la vita stessa della città si potesse inserire… se potesse disturbare o invece rendere più efficace e più vera questo tipo di immagine. È stata una scelta istintiva, del momento. La città non doveva tanto prevalere sul manifesto, lo poteva fare su alcuni, dove era necessario, ma allo stesso tempo c’era quell’elemento che determinava la vita di quel manifesto: lì abbiamo il muro, lì abbiamo la figura che cammina sotto, lì abbiamo lo specchietto della macchina… insomma, c’è sempre un elemento che fa parte del racconto, del manifesto e del contenuto. Ne diventa parte, non disturba. Allo stesso tempo non prende una lettura oltre quello che dovrebbe esserci, uno sfondo, una nota a margine.

AG: Come donna si sentiva… offesa da quelle immagini?

MR: La figura della donna in quegli anni era abbastanza ristretta, abbastanza particolare, abbastanza sottomessa, fuori da ogni contesto. Noi che facevamo un certo tipo di lavoro, avevamo delle difficoltà enormi, perché ci dovevamo esprimere in un mondo che dava poco, non era attento a quello che stava succedendo, in particolare nel mondo del femminile. Questi manifesti erano quasi “rubati” dalla strada, io camminavo in una maniera indifferente senza far vedere il mio interesse, altrimenti suscitavo reazioni tra le più disparate e le più incredibili. Proprio in un “fuggi fuggi” percorrevo le strade di questi manifesti e li ho raccolti in un libro. La lettura la lascio ai sociologi e agli antropologi.

AG: Moltissimi manifesti fotografati soltanto in due anni, dal 1978 al 1980. Poi che succede?

MR: Con il 1980 ho cominciato ad avere delle difficoltà nel trovare questi manifesti: facevo dei giri enormi, però cominciavano a scomparire, a non esistere più. In quel momento non mi rendevo conto come potesse trasformarsi quella ‘visione pornografica’. L’ho capito oggi, nel rivedere il lavoro, nel riassemblarlo, nel metterlo insieme. È stato un lavoro molto intenso, tutto si è svolto quasi a volo di uccello, non c’è stata una programmazione, né avrebbe potuto esserci, perché questi manifesti comparivano e scomparivano, è stata una rincorsa. Alla base c’era la consapevolezza che erano qualcosa di importante, ma non sapevo che dopo due anni e mezzo sarebbe sparito tutto; con l’avvento di Cicciolina, di Ilona Staller, di nuove tecnologie come la rete che hanno superano questo tipo di visione. La grande fortuna è stata che in quel momento ho lavorato con grande intensità sull’argomento, ho cercato di non farmeli sfuggire.

AG: Sembra che in ogni suo progetto ci sia un’attenzione particolare al contesto umano e sociale.

L’arte ha secondo lei anche una funzione ‘politica’?

MR: Non so se riesco a individuare l’arte come un fenomeno collettivo, catartico, con una funzione determinata in una certa maniera, tipo religiosa, politica e di altro. Non credo in questo. Credo però che un pensiero, che nasce da un'entità singola, soggettiva, possa ‘agire’ inserendosi e appropriandosi di certi argomenti che possono essere pensati come una condizione artistica, ma tutto questo nasce sempre a livello soggettivo. Non di massa.

(11 maggio 2021)

 

 

Crediti:Marialba Russo, Cult Fiction (della serie), 1978-80. Stampa su carta blueback. Courtesy l'artista


VIDEO

 

Fiori e Parole

 

Con il progetto And Flowers / Words, ogni mercoledì dalle ore 14.00 sul sito di miart vengono pubblicate delle conversazioni tra il Direttore Artistico Nicola Ricciardi e personalità del mondo artistico e culturale italiano, unite da un particolare interesse per il tema della parola scritta o parlata. Un progetto editoriale che vuole essere una risposta a un mondo dell'arte in profonda trasformazione, alla ricerca di nuovi modi per comunicare. Dopo gli appuntamenti con Chiara Costa, Luca Lo Pinto, Lorenzo Giusti e Moira Egan, mercoledì 26 maggio sarà la volta di Sergio Ricciardone, con un omaggio a Franco Battiato.

 

 

Crediti:miart 2021. And Flowers / Words. Credits: Studio Folder


Le Fotografe per la prima volta

 

Dall'amore alla sessualità, dal ruolo sociale della donna alla body positivity: con LE FOTOGRAFE, prima docu-serie dedicata alle fotografe italiane creata e diretta da Francesco G. Raganato e prodotta da Terratrema Film in collaborazione con Seriously da domani lunedì 24 maggio alle ore 21.15 su Sky Arte la fotografia viene raccontata come strumento di indagine, di narrazione e di espressione artistica. Disponibile anche on demand e in streaming su NOW, questa produzione Sky Original ha scelto di raccontare in otto episodi Guia Besana, Ilaria Magliocchetti Lombi, Sara Lorusso, Carolina Amoretti, Maria Clara Macrì, Roselena Ramistella, Zoe Natale Mannella e Simona Ghizzoni e la loro ricerca su temi legati al femminile.

 

 

Crediti: LE FOTOGRAFE, una produzione Sky Original. Ph: Guia Besan


EXTRA

 

Un po' simboli un po' no

 

Realizzata in collaborazione con la Fondazione Arnaldo Pomodoro e il patrocinio del Comune di Genova, Arnaldo Pomodoro. To scratch, draw, write, a cura di Flaminio Gualdoni, presenta alla galleria ABC-ARTE di Genova fino al 7 ottobre 2021, circa 30 sculture realizzate dal Maestro dalla fine degli anni Cinquanta a oggi. Un lungo racconto dei suoi segni indecifrabili – Simboli? Enigmi? – protagonisti della superficie e della forma. Accompagna la mostra un volume monografico edito dalla galleria con testi di Flaminio Gualdoni, Michele Robecchi e Federico Giani, e un ricco apparato di immagini dagli archivi della Fondazione Arnaldo Pomodoro.

 

 

Crediti: Arnaldo Pomodoro, Arco, 2000. Foto Paolo Mussat Sartor


Accoglienza contemporanea

 

Segno delle nuove scelte di accoglienza e ascolto adottate dal museo, la GAMeC di Bergamo ha da poco presentato una nuova segnaletica attenta alle identità di genere, alle differenti tipologie di pubblico e alla pluralità di religioni e un Baby Pit Stop UNICEF, area di sosta dotata di fasciatoio e poltrone, per consentire l'allattamento e l'accudimento dei più piccoli. Un'iniziativa pensata per rendere più agevole a genitori e familiari di un neonato un'uscita sul territorio, cui si aggiunge anche una serie di percorsi gratuiti dedicati a genitori con bambini dai 0 ai 18 mesi: un nuovo format, inaugurato lo scorso 18 maggio in occasione della Giornata Internazionale dei Musei, che anche nei prossimi mesi consentirà di vivere la GAMeC sempre più come spazio del quotidiano e della comunità.

 


Breve guida alla scoperta di Vanessa Safavi

 

In questo breve audio l'attore Sergio Leone legge le parole di Marco Tagliafierro curatore della mostra Dolls and Goddesses di Vanessa Safavi appena aperta negli spazi di Cascina I.D.E.A. ad Agrate Conturbia che ci offre alcune chiavi di lettura per esplorare e interpretare il lavoro della giovane artista svizzera. Partendo dall'analisi del ruolo della donna nella società contemporanea, passando per la figura complessa dell'artista–madre, la Safavi esplora nel suo lavoro l'energia vitale della materia, e con questa mostra la forza primordiale, generatrice, della natura femminile.

 

Crediti: Cascina I.D.E.A., 2021. Agrate Conturbia. Installation view Vanessa Safavi, Dolls and Goddesses.. Photo Agnese Bedini. Courtesy Courtesy Nicoletta Rusconi Art Projects


 

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