EDITORIALE

 

No story lives unless someone wants to listen (nessuna storia vive a meno che qualcuno non voglia ascoltare). Questa frase di J.K.Rowling campeggia all’ingresso degli studi della Warner a Leavesden, a 30 km da Londra, in cui dal 2000 al 2010 sono stati girati gli 8 film che compongono la saga di Harry Potter, il giovane mago più famoso del mondo.

Quello che emoziona di più percorrendo il set della Sala Grande con i suoi lunghi tavoli apparecchiati, sbirciando tra i letti a castello dei dormitori dei ragazzi, tra gli alberi altissimi della Foresta Proibita, guardando le vetrine di Diagon Alley o al Binario 9 e ¾ aspettando di salire sul treno per Hogwarts, non è soltanto la cura dei dettagli, la fantasia sfrenata, la capacità artigiana degli artisti che ci hanno lavorato, ma sono i volti dei bambini.

Percorrere con loro gli spazi che ospitano la realizzazione di un mondo vissuto e immaginato tra le pagine di un libro e poi sul grande schermo rende palpabile l’emozione che solo una storia ben raccontata riesce a restituire. Non si tratta solo di marketing ma di riconoscere la forza trascinante del pensiero creativo, capace di immaginare mondi diversi e poi di realizzarli: è qualcosa che l’arte ci dimostra da millenni usando penne, macchine da scrivere, colori, pennelli, macchine fotografiche, metalli, marmo, mattoni, stoffa e… bacchette magiche.

 

In questa settantaquattresima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata ai progetti e alle istituzioni culturali di cui siamo portavoce, nella sezione RACCONTI trovate un testo di Francesca Orsi, giornalista e critica fotografica, dedicato alla prima mostra in Italia dell’artista olandese Anouk Kruithof, Perpetual Endless Flow, in corso da Futurdome Milano; Maria Vittoria Baravelli, art sharer e curatrice, ci racconta della sua visita alla mostra IRVING PENN alla Cardi Gallery di Milano; mentre un estratto del testo di Cristina Masturzo – docente di NABA Nuova Accademia di Belle Arti a Milano e contributor di Artribune – dal catalogo della mostra Libere e Desideranti di Iva Lulashi a Corniglia (SP), a cura di Giuseppe Iannaccone, ci avvicina al lavoro dell’artista albanese.

La parte dedicata ai VIDEO comprende un trailer di DIALOGO TERZO: IN A LANDSCAPE, lo spettacolo di Alessandro Sciarroni insieme a Collettivo Cinetico, prossimamente al MAXXI L’Aquila, e una presentazione dell’opera Diteggiatura di Riccardo Giacconi, entrata insieme a quelle di Roberto Fassone, Beatrice Favaretto e Caterina Erica Shant nella collezione della GAMeC di Bergamo grazie alll'Artist's Film Italia Recovery Fund.

Tra gli EXTRA trovate invece la nuova installazione permanente di Peter Halley, Colums in 10 colors, parte del progetto ART DRIVE-IN, GENERALI: Percorso sotterraneo d’arte contemporanea ospitato nel garage dell’Agenzia Generali di Brescia Castello a cura dell’associazione Bellearti; la mostra di Thomas De Falco (Milano, 1982) TECHNOLOGY (World – Nature), negli spazi di Cascina I.D.E.A. di Nicoletta Rusconi Art Projects; e Francesco Vezzoli in Florence, il progetto a cura di Cristiana Perrella e Sergio Risaliti che vede due opere di Francesco Vezzoli installate in Piazza della Signoria e a Palazzo Vecchio, nello Studiolo di Francesco I de’ Medici a Firenze.

 

 

Buona lettura!

Lo staff di Lara Facco P&C

#TeamLara

 

Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com

 

TELESCOPE. Racconti da lontano

Ideato e diretto da Lara Facco

Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana

Ricerca ed editing Francesca Battello, Camilla Capponi, Barbara Garatti, Giulia Notarpietro, Marta Pedroli, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, con la collaborazione di Giulia Bochicchio, Alberto Fabbiano, Andrea Toro e Carlotta Verrone

 

domenica 26 settembre 2021


RACCONTI

 

 

L’anti-uomo di Anouk Kruithof, di Francesca Orsi

 

Quando vidi per la prima volta nel 2016, dal vivo, un’opera di Anouk Kruithof, la sua muraglia di anti-ritratti placcava, letteralmente, lo sguardo di chi passeggiava per le strade di Gibellina. Già molto iconica nella sua storia e nella sua distribuzione urbanistica, la città siciliana in quel periodo ospitava la prima edizione del festival open-air Gibellina Images. Il festival aveva e ha come “missione” l’impresa di far dialogare la storica e gloriosa collezione d’arte a cielo aperto della città con le opere contemporanee, fotografiche per lo più, che animano la sua programmazione. Kruithof quell’anno ne era ospite con il suo progetto on-going AHEAD, un atlante umano di ritratti teso non a mostrare le specificità dell’individuo, ma proprio il suo contrario, cioè a far rimanere anonime e private le facce dei soggetti, ritraendone esclusivamente la nuca. E così attraverso un algoritmo, in base solamente al colore del fondale scelto dalle persone ritratte di schiena, l’artista olandese aveva creato un reticolato di nuche e colori allestiti su una lunga parete nel ventre della città, che ostruiva il passaggio visivo di chi passava nelle vicinanze. Quest’opera di Anouk Kruithof puntava il suo dito sulla bulimica produzione di immagini che intasano il web, sparate fuori dalla macchina fotografica come i proiettili di una mitragliatrice, su un’identità dell’uomo sempre più omologata e senza possibilità di ritorno alle sue specificità, su una visione in cui per vedere il tutto bisogna fare mille passi indietro.

Quello che ha fatto Anouk Kruithof, invece, per la mostra milanese Perpetual Endless Flow, a cura di Atto Belloli Ardessi, negli spazi FuturDome è un passaggio dal macro al micro, da una dimensione pubblica di un intero muro urbano a quella sicuramente più intima di una scultura. In entrambi i casi, però, è sempre il consumo di immagini il perno della questione, ma in modalità diverse. Nel caso specifico delle sculture di Perpetual Endless Flow l’artista olandese ha creato le sue sculture forgiandole con gli scarti degli imballaggi di polistirolo di dispositivi elettronici, ricoprendone poi la forma con una “pelle fotografica”, uno strato sensibile composto dal patchwork di immagini digitali riprese dal web. Immagini che sollevano tematiche sociali o ambientali, che suggeriscono la cura per il mondo e la lotta per esso. Anche in questo caso Kruithof ha lavorato con una sorta di anti-ritratti, non compare direttamente l’uomo nelle sue installazioni antropomorfe, ma in un certo senso l’effetto delle sue azioni sul mondo. Il lavoro di Anouk Kruithof, da AHEAD a Perpetual Endless Flow, è uno sguardo sulla società contemporanea, sui suoi nuovi linguaggi, su un uomo che non è più uomo, ma anti-uomo.

 

 

Crediti: Anouk Kruithof, AHEAD @ PhotoRoad Festival in Gibellina, Sicilia. 2016 / Anouk Kruithof, Perpetual Endless Flow, 2021 Installation view at FuturDome Foto Niccolò Quaresima / Anouk Kruithof, Perpetual Endless Flow, 2021 Installation view at FuturDome Foto Niccolò Quaresima / Anouk Kruithof, Perpetual Endless Flow, 2021 Installation view at FuturDome Foto Niccolò Quaresima


 

 

Per un'iconologia del desiderio. Quando anche le donne si misero a desiderare, di Cristina Masturzo*

 

La più recente produzione pittorica di Iva Lulashi (Tirana, 1988) apre alla riflessione su una nuova e contemporanea contro-rappresentazione del desiderio, per un racconto delle traiettorie del potere e della storia dal punto di vista femminile.

Dopo la ricerca ispirata all'immaginario comunista presentata in occasione della mostra Eroticommunism (Prometeogallery, Milano, 2018) e legata ai simboli del regime di Enver Hoxha e alle commistioni tra propaganda ed erotismo, lo sguardo dell'artista sembra ora scartare di lato e spostarsi con decisione sul coefficiente di seduzione dell'immagine erotica, per indagare la rappresentazione del desiderio come dispositivo di liberazione e la carica eversiva di un capitale erotico ancora da esplorare.

“Non è più possibile scegliere la non rappresentazione della sessualità perché senza rappresentazione non c’è sessualità. L’unica cosa che possiamo scegliere è una forma di proliferazione critica di rappresentazioni sessuali” [1], segnala Paul B. Preciado, uno dei principali riferimenti teorici per l'evoluzione del postporno, che, in contrapposizione alla pornografia mainstream, pratica una via al porno politicamente connotata, militante e attivista, per una trasformazione sociale attraverso l'immaginario sessuale e la sua decolonizzazione da uno sguardo patriarcale ed eteronormativo.

La pornografia, le immagini erotizzate, funzionali e interlacciate alla pulsione sessuale e all'attivazione di un corpo desiderante sono da sempre luoghi d'ombra nel dibattito pubblico. Eppure a questa sfera “chiediamo esattamente quello per cui ci spaventa: di dire la verità sui nostri desideri” [2], come osserva Virginie Despentes, a render conto di ciò che si tace e si ignora della complessità che si muove intorno alla libido, al desiderio come struttura profonda dell'umano – non necessariamente conciliata con il resto delle esistenze e con quello che si vorrebbe essere –, angolo morto della ragione su cui il porno agisce – “nostro malgrado”, direbbe Slavina [3] – puntando “dritto ai fantasmi, senza passare né per la parola né per la riflessione. […] L’immagine pornografica non lascia scampo: ecco quello che ti eccita, ecco quello che ti fa reagire.” [4]

Ed ecco che nella ricerca di Iva Lulashi, non distante da questa aggiornata consapevolezza sui portati intrinseci alla rappresentazione sessualmente esplicita e con una netta fascinazione per l'immagine e l'immaginario erotico, la tela diventa luogo di resistenza, rivendicazione, impoteramento [5].

Attraverso la selezione e il prelievo di frame dal flusso potenzialmente infinito di filmati erotici vintage e di ciò che, da quelli, sarà ospitato nello spazio dipinto, una personale semantica del desiderio, in un delicato equilibrio tra affermazione e consenso, si offre allo sguardo dello spettatore, restituendo una diversa possibilità di rappresentazione, un'insurrezione alla norma, una comprensione più ampia e inclusiva del reale.

La pittura di Iva Lulashi, così densamente abitata da corpi, da un erotismo a volte soffuso e altre spregiudicato, scardina il dispositivo dello sguardo patriarcale e investe il desiderio di un potere trasformativo – “Il corpo, il piacere, la rappresentazione pornografica, [...] sono degli strumenti politici” [6] –, se ne appropria come strumento di un processo, preziosissimo e significativo, di individuazione e soggettivazione autonoma contro narrazioni egemoni e parziali che hanno, per secoli, sintetizzato e direzionato un desiderio univoco [7].

 

*Estratto dal testo in catalogo della mostra Iva Lulashi. Libere e desideranti a cura di Giuseppe Iannaccone e in collaborazione con Prometeogallery Ida Pisani, in corso all’Oratorio dei Disciplinati di Santa Caterina Largo Taragio – Corniglia (SP), fino al 30 settembre 2021.

 

1. P.B. Preciado, “Transfemminismo nel regime farmaco-pornografico”, in L. Borghi, F. Manieri, A. Pirri (a cura di), Le cinque giornate lesbiche in teoria, Ediesse, Roma 2011, p. 160.

2. V. Despentes, King Kong Theory, Fandango Libri, Roma 2019, p. 61.

3. Silvia Corti, conosciuta con il nome d'arte Slavina, è attivista postporno, videomaker, autrice e pornografa femminista.

4. V. Despentes, King Kong Theory, cit., p. 59.

5. L'uso del termine impoteramento non traduce e non è sovrapponibile all'apparente omologo empowerment, ma deriva dallo spagnolo empoderamento e, ancora di più, è lo stesso usato da Maria Nadotti nel suo lavoro di traduzione di bell hooks. La scelta della parola è una presa di posizione politica, come sottolineato di recente da Rachele Borghi che lo ha chiarito nel suo Decolonialità e privilegio. Pratiche femministe e critica al sistema mondo, Meltemi, Milano 2020, e mira a liberarsi degli aspetti apertamente neoliberisti e gender mainstream del termine inglese.

6. V. Despentes, Mutantes. Féminisme porno punk, 2009, Francia-Stati Uniti, documentario incentrato sul femminismo pro-sex e la postpornografia.

7. Sulla pornografia come “scrittura sociale” e più in generale su questo tema, si veda anche TBD Ultramagazine, 2, estate 2020.

 

 

Crediti: Iva Lulashi, Senza titolo, 2021, olio su tela, 80x100cm. Courtesy the artist e Prometeo Gallery | Iva Lulashi, Spazio parallelo, 2021, olio su tela, 20x30cm. Courtesy the artist e Prometeo Gallery | Iva Lulashi, Un piatto per gli Dei, 2021, olio su tela, 100x120cm. Courtesy the artist e Prometeo Gallery


 

 

L' "OPERA APERTA" di Irving Penn, di Maria Vittoria Baravelli

 

Redigere una storia su Irving Penn significa addentrarsi nell'esistenza di un uomo di immensa vastità, e questo non riguarda solo la sterminata produzione dati gli oltre 60 anni di incessante lavoro, ma anche le sperimentazioni, la creazione di linguaggi espressivi diversissimi e, ovviamente, le considerazioni che ancora oggi le sue innovazioni suscitano.

Trovare una sintesi. In effetti dare forma a questo infinito corpus non è molto diverso dal fotografare; è un’arte dell’abbreviazione che comporta però non solo un giudizio e una selezione ma anche l’urgenza di inquadrare questi passaggi, nella storia della fotografia mondiale.

Due piani della Cardi Gallery a Milano sono dedicati a Irving Penn, alle sue fotografie di moda, di ricerca e al suo rapporto con l’Italia. Una mostra in essere fino al 22 dicembre prossimo.

Fotografie diversissime le une dalle altre, immagini da cui si sviluppano i temi principali che il fotografo ha sempre voluto esprimere. E non importa se ci troviamo di fronte a una modella di Vogue, un indigeno, Pablo Picasso, un mozzicone di sigaretta o a una voluttuosissima bocca, perché il nucleo della ricerca personale di Penn è la grazia.

Irving Penn è passato alla storia per le sue fotografie, per aver giocato con la luce in bilico sulla linea del tempo, regalandoci per sempre un eterno istante.

Da questa ricerca di verità, dalla ferma volontà di andare oltre la superficie delle cose e scongiurare una possibile cieca accettazione di mistificazioni sugli individui dati dal loro contesto originario, Penn dissolve il loro “environment” culturale e sociale. Predilige sfondi monocromi sul bianco e sul grigio; si innamorò a Parigi di una tenda da teatro con dipinte nubi grigie diffuse tanto da eleggerla a suo fondale preferito.

Ogni scenografia sullo sfondo viene meno, perché i soggetti devono essere il centro di tutto.

Perché sono l’alfa e l’omega della composizione. In semiotica, un'opera aperta è un testo che permette interpretazioni multiple o mediate dai lettori. Al contrario, un testo chiuso conduce il lettore a una sola interpretazione. Autori come Umberto Eco e come Roland Barthes dagli anni '60 del Novecento alla contemporaneità si sono interrogati sul concetto di opera, della sua fruizione. Il lavoro di Penn potremmo definirlo come un’opera aperta, inesauribile e ricca di sfumature. Aperta appunto a infinite interpretazioni per raccontare non sono l’anima di chi quelle immagini le ha create, ma soprattutto di chi amorevolmente le guarda.

 

 

Crediti: Irving Penn, Bee (A), New York, 1995 © The Irving Penn Foundation. Irving Penn, Black and White Vogue Cover (Jean Patchett), New York, 1950 © Condé Nast. Irving Penn, Orchid: Rhyncholaelia digbyana, New York, 1969 © Condé Nast. Irving Penn, Self-Reflection (A), Italy, 1944 © The Irving Penn Foundation. Irving Penn, Still Life with Triangle and Red Eraser, New York, 1985 © The Irving Penn Foundation


 

VIDEO

 

L'hula hoop come pratica di metidazione

 

Alessandro Sciarroni insieme a Collettivo Cinetico porta al MAXXI L'Aquila il 2 e il 3 ottobre 2021 lo spettacolo DIALOGO TERZO: IN A LANDSCAPE, in cui l'artista e coreografo italiano sceglie l'Hula Hoop – un oggetto legato alla pratica circense, all'immaginario americano anni Sessanta, ma anche a tanti stereotipi di genere – per realizzare uno spettacolo che fa del movimento una forma di rilassamento interiore. La musica per pianoforte di John Cage, da cui lo spettacolo prende il titolo, composta proprio per "quietare la mente e disporla agli influssi divini", accompagna sulla scena danzatori e danzatrici, in un'atmosfera surreale e sognante.

 

 

 

Crediti immagine: Dialogo Terzo IN A LANDSCAPE © Roberta Segata courtesy Centrale Fies


 

Da Venezia a Bergamo

 

Riccardo Giacconi, artista tra i vincitori del bando Artist's Film Italia Recovery Fund, ideato e promosso da Lo Schermo dell'Arte, con il film Diteggiatura – che racconta la Compagnia Carlo Colla & Figli, la più grande e antica compagnia marionettistica al mondo – ha aperto lo scorso 2 settembre le Giornate degli Autori / Notti Veneziane alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Un'edizione d'artista del film, insieme a quelli di Roberto Fassone, Beatrice Favaretto e Caterina Erica Shanta, entrerà a far parte della Collezione della GAMeC di Bergamo. In questo video una presentazione dell'opera.

 

 

 

Crediti immagine: Riccardo Giacconi, Diteggiatura, 2021. Still da video – Courtesy l’artista, Slingshot Films e Lo schermo dell’arte


EXTRA

 

Intreacciare tecnologia e natura

 

Nasce dall'esperienza della residenza estiva a Cascina I.D.E.A. la mostra di Thomas De Falco (Milano, 1982) TECHNOLOGY (World – Nature), che dal 2 ottobre, porta nelle stanze di questo spazio rurale dedicato da Nicoletta Rusconi Art Projects all'arte e alla creatività, una serie di nuove sculture tessili dell'artista, realizzate con fibra e cavi elettrici, arazzi ed elementi scultorei in cemento, con l'inserimento di elementi naturali locali, come ossa, rami d'albero e insetti. La mostra, accompagnata da un testo critico di Emanuele Coccia, esplora la relazione tra tecnologia, natura e mondo, analizzando la continua contaminazione tra le nuove tecnologie e il nostro modo di vivere.

 

 

 

 

Crediti immagine: Thomas De Falco, Body, 2020 - 2021, tecnica mista per arazzo, ramo d'albero e ossa, 63 x 49 cm. Courtesy the artist


 

L'arte in garage

 

È dal 2020 che l'autorimessa dell'Agenzia Generali di Brescia Castello ospita l'arte contemporanea, e dal 1 ottobre 2021, il progetto ART DRIVE-IN, GENERALI: Percorso sotterraneo d'arte contemporanea si arricchisce di un nuovo intervento permanente. Grazie alla collaborazione degli studenti dell'Accademia di Belle Arti di Brescia SantaGiulia, l'artista americano Peter Halley (New York, 1953) ha realizzato – dipingendo di colori fluorescenti pareti e pilastri degli spazi del garage – Columns in 10 Colors, una grande installazione ambientale site-specific. L'installazione, a cura dell'associazione Bellearti, si unisce a interventi cittadini come La Plage di Pascale Marthine Tayou, l'installazione di Daniel Buren al Mirador di Pisogne, e due grandi strutture di Jorrit Tornquist e Rasheed Araeen entrate nella collezione Agenzia Generali Brescia Castello.

 

 

Crediti immagine: Peter Halley / Columns in 10 colors, 2021 / intervento site-specific, Brescia / ph. Petrò Gilberti


 

Un nuovo antico leone

 

Dal 2 ottobre in Piazza della Signoria a Firenze, tra la Giuditta di Donatello, il David di Michelangelo, il Perseo di Cellini e il Ratto della Sabina del Giambologna, ci sarà anche un leone rampante con una testa d'uomo tra le fauci realizzato da Francesco Vezzoli. L'opera, un pastiche che utilizza un basamento antico e una testa d'epoca romana, si accompagna a un'altra scultura nello Studiolo di Francesco I de' Medici a Palazzo Vecchio. Difficile ricondurre tutto questo a un divertissement: con queste operazioni, infatti, l'artista compone collage linguistici che rigenerano la tradizione ma hanno una vita propria.

Francesco Vezzoli in Florence, a cura di Cristiana Perrella e Sergio Risaliti, è un progetto presentato dal Museo Novecento di Firenze e dal Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, realizzato con il patrocinio del Comune di Firenze e l'organizzazione di Mus.e, che mette in dialogo arte contemporanea e patrimonio storico artistico della città.

 

 

Crediti immagine: Autoritratto Foto: Francesco Vezzoli


 

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