EDITORIALE

 

Se guardi bene, lì tra le foglie puoi intravedere il profilo di un braccio. Se ti avvicini di più vedi che quei capelli sospesi al centro della tappezzeria floreale sono ancora attaccati a un cuoio capelluto, lì dove la carta da parati si increspa c’è un corpo, e si … quelli che ti guardano tra fiori e disegni cachemire sono due occhi. Gli occhi di Cecilia Paredes (Lima, 1950).

Si chiama Paredes come le pareti in cui – anche se parzialmente – si dissolve, la body artist e fotografa peruviana che ha fatto della photoperformance la sua cifra. Anche se alle origini di questo lavoro c’è la necessità per lei, immigrata dal Sud America, di trovare uno scudo alle difficoltà: la sua non è una sparizione né un tentativo di nascondersi, ma di ritrovare il proprio posto nel mondo.

La fusione con il paesaggio che lei stessa disegna, l’identificazione con tutto ciò che la circonda – flora e fauna, visibile e invisibile, reale o astratto – ci racconta il desiderio e la capacità tutta femminile di accogliere ogni diversità; le sue opere ci raccontano la nostalgia per quel lato “divino” dell’uomo come parte di una Natura primigenia e misteriosa. Il corpo di Cecilia Paredes ci insegna non a scomparire ma a estendere i nostri confini, a tornare paesaggio, natura, divinità.

 

In questa ottantottesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, nella sezione RACCONTI trovate un estratto del testo di Vincenzo de Bellis – curatore e Associate Director of Programs, Visual Arts al Walker Art Center di Minneapolis – nella pubblicazione Resistenza e Liberazione. Jannis Kounellis a Padova, realizzata dalla Fondazione Alberto Peruzzo in occasione della presentazione del restauro dell’opera dell’artista nel cortile dell’Università di Padova; Marta Stella, giornalista freelance di Vogue e 7 Corriere della Sera, ci offre una personale riflessione sulla mostra Lisetta Carmi. Voci allegre nel buio in corso al MACTE di Termoli; una parte del testo di Stefano Baia Curioni nel libro Venere a Palazzo Te a cura di Claudia Cieri Via che accompagna il progetto che si avvia alla chiusura Venere Divina. Armonia sulla terra prodotto e promosso da Fondazione Palazzo Te.

La parte dedicata ai VIDEO comprende una breve intervista a LaToya Ruby Frazier, tra gli artisti protagonisti della mostra Vogliamo Tutto. Una mostra sul lavoro tra disillusione e riscatto in corso alle OGR di Torino, e il video racconto del restauro del prezioso tappeto Ushak a medaglione realizzato dal Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale.

Tra gli EXTRA Techno Conversation, il podcast a cura di Francesco Tenaglia parte del public program della mostra Techno in corso a Museion di Bolzano; l’allestimento di Triade di Arnaldo Pomodoro agli Horti del Collegio Borromeo a Pavia; e INCONTRI FAR quattro appuntamenti promossi dalla Fondazione Antonio Ratti in occasione della mostra in corso Il Sogno di Antonio: un viaggio tra arte e tessuto.

 

Buona lettura!

Lo staff di Lara Facco P&C

#TeamLara

 

Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com

 

TELESCOPE. Racconti da lontano

Ideato e diretto da Lara Facco

Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana

Ricerca ed editing Francesca Battello, Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Barbara Garatti, Giulia Notarpietro, Marta Pedroli, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Andrea Toro, con la collaborazione di Giulia Bochicchio

 

domenica 9 gennaio 2022


RACCONTI

 

 

Pensare per Frammenti e Frammenti per Pensare, di Vincenzo de Bellis*

 

Il Numero di ottobre 1983 di Artforum, rivista che per anni è stata l’organo ufficiale di tutto il sistema dell’arte contemporanea mondiale, dedica la sua copertina a un’opera del 1982 di Jannis Kounellis.

Non si tratta, come potrebbe pensare qualcuno che conosce un po’ superficialmente il lavoro dell’artista, di un’opera del suo periodo cosiddetto poverista. È una finestra bloccata da un accumulo di frammenti di legno, pietre, gessi di statue classiche, ferro e altri materiali.

Un’opera che racchiude tantissimi elementi iconici dell’artista, a partire dall’utilizzo di materiali di recupero, la sua cosiddetta “uscita dal quadro” e, quindi, “dai suoi limiti illusori”, che aveva già iniziato qualche decennio prima e che contrassegnerà l’intero operato artistico di Kounellis. Allo stesso tempo, pur rappresentando il distacco dalla superficie pittorica attraverso l’utilizzo di materiali non tradizionali, questa opera testimonia anche un’attenzione sistematica alla disposizione visiva dei singoli elementi all’interno di un disegno generale e uno studio della composizione in una chiara logica pittorica, al centro della quale il modulo e la sua ripetizione libera, ma mai casuale, assumono una fondamentale importanza.

Questa serie di opere anticipa e rappresenta un immediato punto di riferimento per l’opera Monumento alla memoria di Concetto Marchesi, Egidio Meneghetti ed Ezio Franceschini, conosciuta anche come Resistenza e Liberazione, realizzata nel 1995 nel cortile di palazzo Bo, sede principale dell’Università degli studi di Padova, di cui questo testo celebra il restauro.

Ma per poter parlare di come Kounellis sia giunto alla formalizzazione di questa unità ottenuta per frammenti, non posso che raccontare qualche breve passaggio della storia e del percorso artistico che ne hanno fatto uno dei più importanti e incisivi artisti italiani del XX secolo.

Si, dico artista italiano in onore e rispetto dello stesso Jannis, o come lo chiamavano tutti i suoi amici, Gianni, il quale si considerava “una persona greca ma un artista Italiano” e anche “Tale sono e tale mi considero da sempre.”[1]

 

[1] Edoardo Sassi, Incontro con Jannis Kounellis, cittadino italiano: «Roma? La amo», Corriere della Sera, Cronaca di Roma, 8 aprile 2011

 

*estratto dal testo nella pubblicazione Resistenza e Liberazione. Jannis Kounellis a Padova realizzata da Fondazione Alberto Peruzzo in occasione della presentazione del restauro dell’opera Monumento alla memoria di Concetto Marchesi, Egidio Meneghetti ed Ezio Franceschini nel cortile dell’Università di Padova.

 

 

Crediti: Jannis Kounellis, Resistenza e Liberazione, fotografia di Marco Furio Magliani, 2021; Chiesa di Sant'Agnese, Padova, 2021, credits Elio Raimondi; Piovan, Urbani, Valenzano, Coudray, Peruzzo restauro Kounellis, credits Elio Raimondi.


 

 

La mia terra Mala, di Marta Stella

 

Alzare gli occhi dal libro (leggeva sempre, in treno) e ritrovare pezzo per pezzo il paesaggio il muro, il fico, la noria, le canne, la scogliera le cose viste da sempre di cui soltanto ora, per esserne stato lontano, s'accorgeva: questo era il modo in cui tutte le volte che vi tornava, Quinto riprendeva contatto col suo paese, la Riviera. Ma siccome da anni durava questa storia, della sua lontananza e dei suoi ritorni sporadici, che gusto c'era? sapeva già tutto a memoria: eppure, continuava a cercare di far nuove scoperte, così di scappata, un occhio sul libro l'altro fuori dal finestrino, ed era ormai soltanto una verifica di osservazioni, sempre le stesse”.

Italo Calvino, La speculazione edilizia

 

Sono nata una mattina di inizio febbraio sulle pendici di un promontorio affacciato sul mare. I figgeua Finalborgo nascevano così. La Riviera ligure di Ponente vista da lassù, attraverso gli occhi di mia mamma, quel giorno doveva sembrare un angolo vergine incastonato tra le montagne a strapiombo nel blu. Da quella finestra sembrava di toccare il mare. Ogniqualvolta quella donna appena diventata madre volgeva lo sguardo a Levante, però, una massa di palazzoni le si stagliava dinnanzi agli occhi. Erano i mostri di cemento armato che iniziavano poi a popolare gli incubi di me bambina, tra i contorni indefiniti di un paesaggio verde assediato da colate di catrame che avrebbero distrutto inesorabilmente gli antichi uliveti. Il patto di sangue con il Dio mattone che avrebbe rivestito di grigio la mia terra grama, sempre un po’ imbronciata, risparmiandone appena qualche scorcio da pubblicare sui dépliant turistici.

Proprio là sotto, proprio quel giorno, sotto quello stesso cielo, mentre i miei primi vagiti risuonavano in un piccolo ospedale di provincia, le macchine di una fabbrica storica marciavano allo stesso ritmo incessante della risacca che sembrava toccarli. Le mani di centinaia di lavoratori forgiavano in riva al mare i migliori aerei del Paese, le ali del futuro.

Le loro voci, oggi fantasmi che esalano sospiri da una terra sommersa, riecheggiano nelle foto di Lisetta Carmi. Tra i vicoli della sua Genova, tra le strade della Sardegna trasformata. Quelle Voci allegre nel buio che la pioniera della fotografia italiana ha immortalato per una vita intera sono oggi in mostra al MACTE, il Museo di Arte Contemporanea di Termoli. Storie di mutazioni, ingiustizie, paesaggi dilaniati, terre martoriate, diritti del lavoro calpestati.

Come per tutte le cose miserabili di questa povera Patria, non esiste Nord e Sud. In un flusso senza tempo e spazio ritrovo quei volti nelle immagini del fotoreporter Stefano Schirato, che in occasione dell’ultimo fine settimana della mostra della Carmi presenta Terra mala. Storie di inquinamento (venerdì 14 gennaio alle 18.30). Un incontro per raccontare la sua ricerca fotografica in bianco e nero sull'inquinamento ambientale in Italia e il suo impatto sulle comunità locali. Il grido di dolore delle madri della Terra dei Fuochi, le esalazioni di uno dei poli petrolchimici più grandi del Mediterraneo tra Augusta, Priolo, Melilli e Gela.

Il fumo tossico appanna la vista. Dissolvenza in nero.

 

«Terra mala, mala terra». Oggi la fabbrica è deserta. C’è un eco che sibila dalle finestre rotte di quel rudere di cemento abbandonato in riva al Mediterraneo. Forse è il mare. O forse una voce, un lamento. Un mugugno. Mi sembra di scorgere un uomo con la schiena china su un bancone. Lavora solo, senza sosta. Rifinisce centimetro dopo centimetro l’ala di quell’aereo che non volerà mai. Quell’uomo è mio padre.

 

 

Crediti: Orgosolo (cantori tradizionali nel bar), 1964. Orgosolo (bambino vicino al murale), 1962 Lisetta Carmi - Macte - Foto Gianluca Di Ioia


 

 

Decidere "come" parlare del mito, di Stefano Baia Curioni

 

Camminare per le sale di Palazzo Te significa incontrare il Mito: nei dipinti, nei bassorilievi, nella stessa sequenza narrativa delle sale e delle architetture. Al Te non esistono in pratica riferimenti di carattere teologico o religioso di tradizione cristiana. Gli dèi citati sono Olimpici, la tradizione è greca e latina. Il suo rifiorire nelle pagine di pittura e di architettura di Giulio Romano è invece un omaggio alla modernità incipiente. Palazzo Te, possiamo dire, è il palazzo del Mito: è il monumento rinascimentale che, in modo forse più forte e squadernato, ripropone nella nostra contemporaneità l'irruzione della narrativa mitologica di tradizione greca antica. Per questo abbiamo deciso di dedicare un approfondimento al mito di Afrodite/Venere, presente, in numerose forme diverse, nelle sale del palazzo. Ma non possiamo nasconderci come questa presenza solleciti domande difficili: perché Palazzo Te è così intensamente volto a ripresentare il mito greco e latino nella città dei Gonzaga? Cos'erano (e che significato avevano) i miti greci e latini per l'élite della corte mantovana? Quale eloquenza dispiegavano? La ricchezza e la complessità dei cicli affrescati del palazzo ci suggeriscono che certamente la pittura di Giulio Romano si era ampiamente ispirata alle tradizioni raffigurative e plastiche del mito tramandate dalla statuaria antica. È anche plausibile che la conoscenza dei tanti e dettagliati miti raffigurati nelle sale fosse condivisa nell'ambiente colto e umanistico di Federico Gonzaga e Baldassarre Castiglione. Ma condivisa come? Per ricordi scolastici? Per rilanci teatrali e poetici? Per la frequentazione dell'antico che era connaturata all'atmosfera di una città che ospitava alcuni dei grandi intellettuali del tempo, ispirati dal neoplatonismo di Ficino e del Pimandro? Cosa suggerivano quelle pitture e quei racconti? Che riserva di senso custodivano per i privilegiati che a essi potevano accedere? Ad alcuni interrogativi risponde la preziosa saggistica di Claudia Cieri Via presentata nel volume, al quale spetta invece il compito di chiarire le premesse di questa iniziativa di ricerca: che senso ha oggi parlare di mito e di mito greco?

In che modo è possibile introdurre l'argomento nella temperie culturale che stiamo vivendo, con tutte le sue asperità e frettolosità? Il punto di partenza del percorso è stato quello di ammettere, o ipotizzare, che molti visitatori oggi semplicemente non conoscano i miti rappresentati da Giulio Romano, oppure li ricordino in modo sommario, e quindi siano portati a un avvicinamento estetico e sentimentale alla pittura senza fare riferimento alla narrazione retrostante. Non è questo necessariamente un male; solo costituisce un limite, e un rischio di fraintendimento, rispetto alla possibilità di comprendere la complessità dei riferimenti nascosti. Per questo abbiamo deciso di raccontare i miti del palazzo, nella versione di Esiodo e Ovidio, e di renderli accessibili in modo multimediale nella sezione Mnemosyne del sito della Fondazione Palazzo Te. Ma questa iniziativa non esaurisce le domande da cui siamo partiti. Decidere "come" parlare del mito significa avere deciso qualcosa in merito alla domanda: "cos'è il mito?", da cui poi discende: "perché oggi è ancora importante avere una conoscenza del mito o comunque interrogarsi sulla natura del mito?". Si potrebbe avere il dubbio che il mito sia una narrativa che riverberi meramente l'eco di una parola antica, superata, frutto di fantasie e di approssimazioni. Sarebbe un dubbio radicato in una tradizione: l'avvento stesso della ragione moderna, dal XVII secolo in poi, ha depotenziato il mito relegandolo nell'ambito delle curiosità, delle stranezze tramandate dagli Antichi su cui i Moderni non si appoggiano più, ma da cui invece si distinguono.

 

*estratto dal testo nel libro Venere a Palazzo Te a cura di Claudia Cieri Via (Tre Lune Edizioni, 2021) che accompagna il progetto Venere Divina. Armonia sulla terra prodotto e promosso da Fondazione Palazzo Te da aprile a dicembre 2021.

 

 

Crediti: Giulio Romano e allievi: Volta della Camera del Sole e della Luna (stucco) | Venere alla guida di un carro indica Psiche ad Amore (olio su intonaco su supporto ligneo) | Marte insegue Adone trattenuto da Venere che viene punta dalla spina di una rosa (affresco) | Venere disarma Cupido (affresco) | Volta della Camera dei Giganti (affresco) | Venere allo specchio e Amore (affresco), 1527-1536, Palazzo Te di Mantova, foto Gian Maria Pontiroli © Fondazione Palazzo Te


VIDEO

 

Ricordare i lavoratori

 

Quanto sono distanti Lordstown in Ohio e Torino? Molto poco secondo LaToya Ruby Frazier, artista che con The Last Cruze porta alle OGR, in occasione di Vogliamo Tutto. Una mostra sul lavoro tra disillusione e riscatto, un vero e proprio memoriale dedicato agli operai della General Motors e al dramma della chiusura delle fabbriche attorno a cui avevano disegnato tutta la loro vita. In questo video l'artista racconta come quest'opera parli di diritti umani negati, di quanto sia necessario, attraverso l'arte, raccontare il punto di vista dei lavoratori, e di quanto ancora il potere della politica, delle lobby, dell'industria, opprima i più deboli.

 

GUARDA

 

 

Crediti immagine: LaToya Ruby Frazier at OGR Torino. Ph. Luigi De Palma for OGR Torino


 

Tramare

 

Arrivato al Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale ad agosto per essere restaurato, il 14 gennaio 2022 il prezioso tappeto Ushak a medaglione (XVII secolo), parte del nucleo di quattordici tappeti orientali della collezione Franchetti, verrà finalmente presentato al pubblico alla Ca’ d’Oro di Venezia.

Il restauro realizzato dal Laboratorio di Restauro Manufatti Tessili del CCR ha coinvolto gli studenti di Conservazione e Restauro dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Torino ed è stato realizzato grazie a Gli Orti di Venezia, che ha prodotto oltre 40.000 buste di insalata, e NovaCoop, che ha provveduto alla vendita finalizzata al sostegno del progetto. In questo video il racconto del delicato processo che ha portato questo capolavoro della tessitura orientale a nuovo splendore.

 

GUARDA

 

Crediti: Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale


EXTRA

 

Parliamo di techno

 

Mentre prosegue TECHNO – la mostra a cura di Bart van der Heide che, fino al 16 marzo 2022, attraverso il lavoro di un gruppo internazionale di artisti, teorici e produttori musicali, esplora l’esperienza della techno come lente da cui esaminare la condizione sociale contemporanea – Museion presenta Techno Conversation, una serie di podcast ideata e realizzata da Francesco Tenaglia già disponibile su Spotify. La serie si concentra su momenti storici chiave e sulla geografia della vita notturna: attraverso interviste con chi pensa, produce e promuove la scena techno globale vengono indagati alcuni dei molti aspetti legati alla storia dei rave e dei club, come le comunità, le economie, le storie e le tendenze.

TECHNO è il primo capitolo di TECHNO HUMANITIES, un programma che, mettendo insieme temi emersi dai confronti tra umanità, ecologia, tecnologia ed economia, coinvolgerà l’istituzione a 360°.

 

ASCOLTA

 

Crediti: Alberto Troia (Kyselina)


 

15 metri sopra Pavia

 

Gli Horti del Collegio Borromeo a Pavia sono un museo a cielo aperto nato per promuovere, raccontare, far vivere l’arte e che, da dicembre 2021, hanno accolto le tre colonne in fiberglass bianco alte 15 metri che compongono Triade, monumentale scultura di Arnaldo Pomodoro. Dopo aver svettato per quasi vent’anni – dal 1985 al 2002 – in piazza Milano a Pavia, la scultura torna in città grazie a un comodato quinquennale tra l’Almo Collegio Borromeo e la Fondazione Arnaldo Pomodoro, che promuove da anni la diffusione delle opere della sua Collezione negli spazi pubblici di Comuni, Atenei e istituzioni culturali.

 

 

 

 

Crediti: Foto Fabrizio Cerrito


 

A proposito di Antonio

 

Dal 17 dicembre 2021 al 29 gennaio 2022 Fondazione Antonio Ratti, in occasione della mostra Il Sogno di Antonio, presenta INCONTRI FAR, quattro appuntamenti per approfondire la visione di Antonio Ratti attraverso temi e passioni che attraversano il suo lavoro e la sua vita: la cultura d'impresa, l'architettura, il legame tra arte e tessuto, la musica. Un'occasione unica per raccontare la vita e la storia di un imprenditore visionario, attraverso ricordi, commenti e riflessioni di storici dell'arte e della moda, artisti, architetti, imprenditori, musicisti.

 

SCOPRI IL PROSSIMO APPUNTAMENTO

 


 

Sei un giornalista, un critico, un curatore?

Vuoi contribuire con un tuo scritto a una delle prossime edizioni di TELESCOPE?

Scrivici su telescope@larafacco.com

 

Se vuoi ricevere TELESCOPE anche tu, scrivi a telescope@larafacco.com

 

L'archivio completo di TELESCOPE è disponibile sul sito www.larafacco.com

 


 

 

Viale Papiniano 42 · 20123 Milano

+39.02.36 565 133

press@larafacco.com

www.larafacco.com

 

 

facebookinstagramtwittervimeowebsite

 

powered by Artshell