EDITORIALE

 

Non possiamo immaginare cosa avrà pensato il regista di colossal Denis Villeneuve una volta arrivato a San Vito d’Altivole, paesino di nemmeno 2000 anime nella campagna trevigiana: solitudine? divertimento? noia? Ma possiamo immaginare lo stupore davanti alla visionaria bellezza della Tomba Brion la prima volta che ha camminato nei suoi spazi, forse chiedendosi se Carlo Scarpa, l’architetto che l’ha realizzata tra il 1969 e il 1978, non fosse un discendente della stirpe degli Atreides.

Questo splendido esempio di architettura modernista, infatti, in cui Scarpa arriva all’apice della maestria nel mescolare cemento armato e filosofia orientale, è uno dei set scelti dal regista per la seconda parte del film di fantascienza Dune, tratto dal libro di Frank Herbert, in uscita alla fine del 2023.

Ispirata a diverse culture, dal mondo paleocristiano a quello zen, la Tomba Brion prevede un percorso al tempo stesso esteriore e interiore: da qualsiasi ingresso si entri si è obbligati a un tragitto carico di significati simbolici legati all'amore e alla sua indissolubilità, ma anche alla necessità della contemplazione: un luogo suggestivo, un giardino dove acqua e materia – cemento, metallo, marmo, vetro – ci guidano alla riflessione sulla vita e la morte, a raccoglierci in noi stessi al di là del tempo e degli accadimenti.

Carlo Scarpa morì prima di vederla completata, ma aveva chiesto di essere sepolto in un punto discreto di congiunzione tra la sua creazione e il vecchio cimitero del paese. La sua passione per le filosofie orientali di certo gli avrebbe fatto apprezzare la litania contro la paura che recita il protagonista di Dune: "Non devo aver paura. La paura uccide la mente. La paura è la piccola morte che porta alla distruzione totale. Affronterò la mia paura, permetterò che passi oltre e mi attraversi. E quando sarà passata, seguirò il suo percorso con il mio occhio interiore. Dove è andata la paura non ci sarà nulla, rimarrò soltanto Io."

 

In questa centoventunesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata ai progetti e alle istituzioni culturali di cui siamo portavoce, nella sezione dedicata ai RACCONTI trovate una passeggiata nello studio di Arnaldo Pomodoro di Valeria Cerabolini, già firma di Repubblica; Adolivio Capece, scacchista, giornalista e scrittore, ci racconta un episodio della vita di Pier Paolo Pasolini di cui la mostra Folgorazioni Figurative negli spazi del Sottopasso Re Enzo a Bologna celebra il lavoro in occasione del centenario della nascita; le mostre di Christian Frosi La Stanza Vuota e Anri Sala Transfigured in corso alla GAMeC e a Palazzo della Ragione a Bergamo sono protagoniste del testo di Jacqueline Ceresoli, storica, critica dell'arte, docente universitaria e curatrice.

La sezione dedicata ai VIDEO presenta un video parte della mostra In Fabula, dedicata alla Collezione Bigongiari e realizzata da Pistoia Musei; un breve racconto del restauro del Sarcofago Consolare della Via Ardeatina, parte della mostra I Marmi Torlonia. Collezionare Capolavori in corso alle Gallerie d’Italia a Milano.

Tra gli EXTRA segnaliamo la mostra Schema 50. Una galleria fra le Neo – Avanguardie (1972 – 1994) in corso al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato; la riapertura dopo la pausa estiva di INTERACTION NAPOLI 2022, organizzata dalla Fondazione Made in Cloister a Napoli; e Xylon – Acquarelli, pitture, libri e poesie 2008 / 2021, la sesta personale di André Butzer a settembre da Gió Marconi a Milano.

 

Buona lettura!

Lo staff di Lara Facco P&C

#TeamLara

 

Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com

 

TELESCOPE. Racconti da lontano

Ideato e diretto da Lara Facco

Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana

Ricerca ed editing Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Marta Pedroli, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, con la collaborazione di Margherita Animelli, Nicolò Fiammetti, Margherita Mearini, Alessandro Ulleri e Carlotta Verrone.

 

domenica 28 agosto 2022


RACCONTI

 

 

L’inizio del tempo n.2. Visita allo studio di Arnaldo Pomodoro, di Valeria Cerabolini

 

C’è l’impeto creativo del demiurgo in quel gesto istintivo che sembra venire da lontano. Di fronte alla sua opera “ritrovata” non esita, prende in mano la fiamma ossidrica e torna a (ri)dare impeto a quel globo primordiale che prende forma, staccandosi da un fondo cosmologico. Per vedere l’opera L’inizio del tempo n.2 , realizzata nell’estate del 1958 da Arnaldo Pomodoro (e il filmato che ne racconta il restauro terminato da poco) bisogna varcare il portone del suo studio in via Vigevano 3 (citofono 061).

Chiusa alle spalle la movida scomposta in riva alla Darsena, si attraversa il cortile con case di ringhiera. E si entra in un'altra dimensione. In un mondo ordinato e atemporale, dove la genesi artistica si mostra nel suo farsi materiale. A una parete sono appesi martelli, seghe, lime, compassi, squadre, livelle, spatole, piedi di porco. Per terra sacchi di argilla e di gesso, a lato un muletto giallo. “Lo studio è uno spazio vivo” dice Irene Sozzi che conduce le visite guidate e mostra i primi gioielli in piombo creati da Pomodoro: “L’unica che li indossava davvero era Ornella Vanoni, sua grande amica”. E racconta il passaggio dalle opere più piccole a quelle monumentali.

Da una prima sala alla seconda, dove su una grande parete si mostra appunto L’inizio del tempo n.2, l’opera al centro della visita (sottotitolo Le ricerche spazialiste di Arnaldo Pomodoro a segnare un passaggio, un salto a “occupare lo spazio” come fa notare Giorgio Zanchetti nella sua presentazione). Un’opera che ha una storia complessa e rocambolesca che porta a Colonia, dove dopo alcune personali di successo con il fratello Giò, Arnaldo Pomodoro realizza il monumentale rilievo murale in cemento e bronzo Grande omaggio alla civiltà tecnologica per la facciata della Volkshochschule in Josef-Haubrich-Hof, progettata dall’architetto Franz Lammersen. In segno di gratitudine per la commissione ricevuta, Pomodoro dona a Lammersen l’opera L’inizio del tempo n.2. Le dimensioni (230 x 270 cm) impediscono all’architetto di custodirla a casa sua. E decide di destinarla allo Schiller-Gymnasium, sempre a Colonia. E qui gli studenti tedeschi fanno la loro parte, lasciando i loro personalissimi segni sull’opera in piombo, zinco e stagno. Un po’ quello che è successo ai poveri Sette Savi di Melotti appena tornati a nuova vita, quando furono donati al liceo Carducci, per poi finire quasi decapitati in casse negli scantinati dell’istituto milanese. Eccessi iconoclasti (dalla scritta “fuck” alla citazione di brani dei Depeche Mode) raccontati anche questi nel video, ma che non hanno impedito il recupero dell’opera che ora domina lo studio che è tante cose insieme. Archivio meticoloso e luogo dell’anima dove si mostrano anche ricordi personali. “Questa è la scrivania di Pomodoro” indica la guida e lì scorrono foto e i ritagli (da Fernanda Pivano alle copertine di Internazionale, da Yuval Noah Harari a Lucio Fontana). Ma c’è spazio anche per nuovi esperimenti, nella project room che chiude il percorso, come la mostra Stato di flusso di Pamela Diamante, annunciata da un remoto quanto profondo respiro umano.

 

 

Crediti: Studio di Arnaldo Pomodoro, 2022. Foto di Dario Tettamanzi, Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro / Open Studio 1. L_inizio del tempo. Le ricerche spazialiste di Arnaldo Pomodoro. Installation view at Studio di Arnaldo Pomodoro. Foto Carlos&Dario Tettamanzi, Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro / Restauro de L'inizio del tempo n.2. Milano, 2021 Foto: Thomas Zieger. Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro / Studio di Arnaldo Pomodoro, 2022 Foto di Dario Tettamanzi. Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro / Open Studio 1. L_inizio del tempo. Le ricerche spazialiste di Arnaldo Pomodoro. Installation view at Studio di Arnaldo Pomodoro. Foto Carlos&Dario Tettamanzi, Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro


 

La partita a scacchi, di Adolivio Capece

 

"Ho trovato Gesù Cristo! Gesù Cristo è a casa mia!"

Così si dice abbia urlato al telefono Pier Paolo Pasolini* quel giorno di fine febbraio 1964, quando gli capitò in casa Enrique Irazoqui, un ragazzo di 19 anni, spagnolo, del sindacato clandestino antifranchista. "Arrivai a casa di Pasolini per caso" raccontò in seguito Irazoqui. "Mi ci portò un giovane attivista del Pci. Cercavo personalità italiane da portare nel mio Paese, per parlare in quelle piccole oasi libere che erano le università. Non avevo la più pallida idea di chi fosse Pasolini".

Pasolini cercava un volto per il suo Vangelo secondo Matteo e all'improvviso lo aveva trovato e lo aveva detto con gioia a Ninetto Davoli, con il quale in quel momento era al telefono.

Così Enrique Irazoqui divenne Gesù e poiché era un grande appassionato del gioco degli scacchi, che praticò anche a livello agonistico, portò la scacchiera sul set: "Non ho l’impressione di aver fatto un film. Giravamo cinque, dieci minuti. Poi si giocava a scacchi o a pallone."

In diverse interviste, fino a quella pubblicata sul Il Venerdì di Repubblica nel 2013, gli venne chiesto: “Ha mai fatto una partita a scacchi con Pasolini?

Sembra che Pasolini abbia imparato le regole base del gioco, insieme del resto a tanti altri suoi coetanei, durante gli anni giovanili a Bologna, gli anni della sua formazione intellettuale, quando frequentava il Liceo Galvani. E sembra che degli scacchi Pasolini pensasse che “educano alla sconfitta e al rispetto degli altri e di se stessi”. Scrisse: “Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All'umanità che ne scaturisce. A costruire un'identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati…”.

Eppure quando l'intervistatore gli chiese se avesse mai fatto una partita a scacchi con Pasolini, Irazoqui rispose: "No, con lui mai. Pier Paolo era molto competitivo: mi aveva visto giocare con gli apostoli, ha capito che lo avrei battuto facilmente. E così non ha mai voluto giocare con me." E poi aggiunse: "Gran narciso! Con me preferiva giocare a calcio dove era fortissimo."

Enrique Irazoqui (5 luglio 1944 – 16 settembre 2020) negli ultimi anni visse a Cadaques, piccola città litoranea nel Nord-Est della Spagna. Molti artisti famosi frequentavano la cittadina, per esempio Picasso, Miró, Duchamp, John Cage e Salvador Dalí. Praticavano tutte le forme di arte e ne inventarono di nuove. E durante tali loro soggiorni, nei caffè vicini al mare, passarono anche molte ore a giocare a scacchi con Irazoqui.

 

*fino al 2 novembre la mostra Pier Paolo Pasolini. Folgorazioni Figurative è in corso negli spazi del Sottopasso di Piazza Re Enzo a Bologna.

 

 

Crediti: Pier Paolo Pasolini. Folgorazioni figurative. Credits Cineteca di Bologna_ph.Lorenzo Burlando // Pasolini sul set di Teorema, 1968 © Cineteca di Bologna / Angelo Novi // Pier Paolo Pasolini. Folgorazioni figurative. Credits Cineteca di Bologna_ph.Lorenzo Burlando // Pasolini con la madre Susanna sul set del Vangelo secondo Matteo, 1964 © Cineteca di Bologna / Angelo Novi


 

Christian Frosi e Anri Sala a Bergamo, di Jacqueline Ceresoli

 

Bergamo: la GAMeC Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea e Palazzo della Ragione nella Città Alta sono diventati quasi sinonimi, grazie a un’arte contemporanea capace di valorizzare i luoghi storici di questa città aperta a visioni e riflessioni sul nostro confuso presente.

L’invito al viaggio nella contemporaneità comincia con la personale di Christian Frosi La stanza Vuota, a cura di Nicola Ricciardi, esposta alla GAMeC, dove sono raccolte oltre 30 opere realizzate dal 1999 al 2012, quando l’artista smette di produrre e si ritira dal caleidoscopico mondo dell’arte.

Alcuni dei suoi lavori sono icone di transitorietà e inconsistente evanescenza, come la nuvola di schiuma, una stampa fotografica intitolata R (1999), prodotta per la prima personale a Milano (Foam, 2003), in altri come l’ultima Naso molletta alluminio naso (2014) – opera inedita prodotta per la mostra Till youth and genial years are flown da Zero a Milano a cura di Gloria De Risi – la nostra attenzione si sposta dal macro al micro formato. Questo lavoro è quasi un documento visivo della sua volontà di sottrazione, del silenzio dell’artista, di una rumorosa assenza, della scelta di non produrre più arte. È un atto iconoclasta, dada, stile Marcel Duchamp e altri artisti definiti dropout artist, coloro che, nella definizione del teorico Alexander Koch, in un determinato momento X sono stati localizzabili nel campo dell’arte e in un momento Y, successivo nel tempo non lo sono stati più.

Christian Frosi (Milano, 1973) sarà ricordato per il coraggio di considerarsi volontariamente “non-artista”, nonostante la fulminea carriera all’insegna dell’insostenibile leggerezza dell’essere, direbbe qualcuno. La sua genialità sta proprio in questa sparizione, il fuori scena mediatico, che stupisce in un’epoca digitale in cui tutti sono sedicenti artisti, creativi o geni in sovraesposizione. Ammantato da un alone di mistero, Frosi, rendendosi irraggiungibile si è reso immortale con un’azione inattesa, così continueremo a chiederci perché parlarne? Perché l’ha fatto? Dove si trova? E quali sono i codici del suo lavoro lieve e sempre rivolto al futuro?

La mostra di Frosi parte da una personale alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino nel 2007, la più riuscita, con allestimento riadattato per lo Spazio Zero della GAMeC, in cui allo spettatore si chiede di sospendere le categorie logiche della comprensione e di non cercare nessuna narrazione, perchè ogni singolo oggetto, materiale e forma è di una individualità autoreferenziale. Frosi lavora per flussi, sovrapposizioni, trasfigurazioni perenni in cui tutto è fuggevole e nulla è stabile, all’insegna della casualità, dell’instabilità, condizione esistenziale da condividere con il pubblico nell’istante della visione dell’opera, senza una logica progettuale. Ha dichiarato l’artista in una intervista “Mi piace l’idea di mantenere nelle forme una sottile, violenta libertà. Nella loro fisicità o nella loro autoreferenzialità, nell’essere nello spazio senza difese e quindi scoperte nella loro semplicità”. È stato tra i più promettenti studenti del corso di pittura di Alberto Garutti all’Accademia di Brera negli anni Duemila. I suoi colleghi sono stati Roberto Cuoghi, Lara Favaretto, Massimo Grimaldi, Deborah Ligorio, Riccardo Previdi e Patrick Tuttofuoco.

In mostra le sue opere non-sense, straordinariamente contemporanee perché, viste oggi, ci incoraggiano al gioco e spostano l’attenzione sull’importanza dei gesti gratuiti, spontanei come in New Title Riso e Succo di Frutta (2009), come il risultato di un processo di auto potenziamento dell’artista.

Inevitabilmente, i suoi lavori – quasi rebus enigmatici – in bilico tra precarietà e visibilità, includono la perdita di equilibrio e l’illogicità del quotidiano, anche nelle forme vagamente antropomorfe che l’artista configura all’insegna del possibile, in cui non esiste il capolavoro, ma il fare un lavoro in cui tutto è immaginazione, fuga, marginalità, comunque un altrove.

La domanda a questo punto è: cosa hanno in comune Frosi e Anri Sala (Tirana, 1973), artista di scena nella Sala delle Capriate a Palazzo della Ragione, con la mostra Transfigured a cura di Lorenzo Giusti e Sara Fumagalli, dove l’atemporalità, l’assenza di gravità dell’universo in cui tutto galleggia nel vuoto, pieno di simboli, sembra un’istantanea del nostro presente?

Come e perché si intuisce davanti a uno schermo lungo 16 metri, che ospita la proiezione di Time No Longer dove compare l’immagine di un giradischi galleggiante in una improbabile stazione spaziale. Ancorato al cavo di alimentazione il giradischi riproduce un arrangiamento di Quartet for the End of Time, composizione realizzata dal musicista francese Olivier Messiaen (1908-1992), considerata la più celebre opera musicale composta in prigionia durante la Seconda guerra mondiale, in un campo tedesco. È un'installazione suggestiva che va ascoltata, poiché si intrecciano vite e storie dentro e fuori strumenti musicali, voci strumentali e performance senza performer, dove passato, presente e un ignoto futuro si iscrivono nella Sala delle Capriate, dove noi osservatori abbiamo l’impressione di galleggiare nel buio, viaggiamo nello spazio, nell’assenza di gravità dell’universo, restando dispersi ai confini di una umanità fragile, inconsistente ma emozionante come una nota musicale.

 

 

Crediti: Christian Frosi - La Stanza Vuota. Veduta dell'installazione - GAMeC, Bergamo, 2022. Foto: Lorenzo Palmieri. Courtesy GAMeC - Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo // Anri Sala - Transfigured. Veduta dell'installazione - Palazzo della Ragione | GAMeC, Bergamo, 2022. Foto: Lorenzo Palmieri. Courtesy GAMeC - Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo. Copyright Anri Sala by SIAE 2022


VIDEO

 

Giulia e Pompeo

 

Nelle Vite parallele di Plutarco si racconta la storia di Giulia, figlia di Cesare, che ricevendo la toga del marito Pompeo macchiata di sangue e immaginando la morte dell'amato, in realtà incolume, sviene e perde il figlio che portava in grembo. Felice Ficherelli – il pittore più presente nella raccolta Bigongiari protagonista della mostra In fabula. Capolavori restaurati della Collezione Bigongiari presentata da Pistoia Musei – ritrae l'episodio in un dipinto del 1655 circa, protagonista di un'attività che ha coinvolto un gruppo di lettori pistoiesi, realizzata in collaborazione con la Biblioteca San Giorgio e la biblioteca de il Funaro Centro Culturale. Dopo essersi confrontati con l'opera, i partecipanti hanno scelto dei brani letterari ispirati dalla storia di Giulia e dalle caratteristiche del dipinto. In questo video uno dei contributi presenti anche in mostra.

 

 

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Crediti: FELICE FICHERELLI (San Gimignano 1603 - Firenze 1660). Giulia riceve la veste insanguinata di Pompeo, 1655 ca. Olio su tela. © Archivio Patrimonio Artistico Intesa Sanpaolo / foto Ottaviano Caruso


Nuovi restauri e antiche scoperte

 

È il monumentale Sarcofago Consolare della Via Ardeatina, con un gruppo di togati romani, che accoglie i visitatori della mostra I Marmi Torlonia. Collezionare Capolavori, in corso alle Gallerie d'Italia a Milano, e proprio questo magnifico esempio di statuaria romana è il protagonista del video che ne racconta in parte il restauro. Le operazioni di pulitura e di conservazione hanno infatti dato nuova luce al modellato dei personaggi che lo adornano, e fornito nuove informazioni su parti occultate da precedenti interventi, restituendo l'estrema complessità di questa opera d'arte antica.

 

 

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Crediti: I Marmi Torlonia. Collezionare capolavori, 2022 Gallerie d’Italia Installation view della mostra Credits: Duilio Piaggesi © Fondazione Torlonia e Gallerie d’Italia


EXTRA

 

Cinquanta sperimentando

 

Cinquant'anni fa Alberto Moretti (Carmignano, Prato, 1922 – 2012) di cui quest'anno ricorre il centenario della nascita, fondava a Firenze Galleria Schema, uno spazio di ricerca delle neoavanguardie nazionali e internazionali, che fin dall'inizio diventa punto di riferimento nel panorama artistico italiano. Schema è il luogo in cui trovano spazio l'architettura radicale di Superstudio, Ugo La Pietra e Gianni Pettena, le ricerche concettuali di Vincenzo Agnetti, Ketty La Rocca e Giuseppe Chiari, gli interventi performativi di Gino De Dominicis, Jannis Kounellis, Vettor Pisani, Luigi Ontani e memorabili azioni soliste di Vito Acconci e Urs Lüthi. Ma è anche un luogo dove grandi artisti internazionali come Joan Jonas, Chris Burden, Allan Kaprow, John Baldessari, Dan Graham, Joseph Beuys, Sol LeWitt, Ben Vautier, Art & Language, Dorothea Rockburne e molti altri portano il loro lavoro. Fino al 9 ottobre la sua storia è raccontata al Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci di Prato nella mostra Schema 50. Una galleria fra le Neo – Avanguardie (1972 – 1994). Da non perdere.

 

Crediti: Schema 50. Una galleria fra le Neo – Avanguardie (1972 – 1994). Installation view at Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato. Ph. Ela Bialkowska OknoStudio


Interagire

 

Negli spazi del Chiostro di Santa Caterina a Napoli, fortemente connotato da una storia secolare, da questa primavera abitano le opere di 28 artisti e artiste internazionali pensate per interagire tra loro e il luogo che le ospita. È INTERACTION NAPOLI 2022, prima edizione di una rassegna internazionale con cadenza biennale, promossa da Fondazione Made in Cloister, a cura di Demetrio Paparoni. Dopo una breve pausa estiva, dal 31 agosto al 24 settembre, il chiostro riapre ai visitatori che potranno ammirare, tra le altre, opere di Laurie Anderson, John Armleder, Maurizio Cattelan, Peter Halley, Mimmo Paladino, Julian Schnabel, Joana Vasconcelos e molti altri, in una mostra che, come dice il curatore "propone il concetto di azione unito a quelli di cooperazione, di fare, di costruire. Il titolo della mostra rimarca infatti l'esigenza di coniugare il fare con il costruire insieme."

 

Crediti: Interaction Napoli 2022, Installation view, ph Francesco Squeglia


Una mostra e due libri

 

Dal 23 settembre Gió Marconi presenta Xylon – Acquarelli, pitture, libri e poesie, sesta personale di André Butzer (Stoccarda, 1973) negli spazi della galleria milanese. Una mostra che ruota attorno a un nucleo di opere su carta molto importanti per l'artista, che Butzer ha continuato a produrre parallelamente ai suoi dipinti. Undici grandi disegni in bianco e nero realizzati dal 2008, esposti per la prima volta, in dialogo con una produzione più recente sia astratta che figurativa. In occasione dell'esposizione viene pubblicata anche André Butzer – Alcune poesie, che contiene composizioni realizzate tra il 1999 e il 2021, mentre il 21 settembre il negozio TASCHEN in Via Meravigli 17 a Milano, ospita il firma copie della monografia dell'artista, appena pubblicata a cura di TASCHEN.

 

Crediti: André Butzer Untitled, 2021 Acrylic on canvas 200 x 442.2 x 3 cm Photo: Fabio Mantegna


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