EDITORIALE
Nel Giappone del XVII secolo, quando si veniva invitati in casa di qualcuno per la cerimonia del tè, era consuetudine regalare al padrone di casa un kokedama, ossia una sfera di terra (dama) ricoperta di muschio (koke) che racchiudeva le radici o i semi di una pianta: quando la pianta cresceva e le radici fuoriuscivano dalla sfera, la pianta era pronta per essere messa in terra e – come l’amicizia – a consolidarsi e continuare a crescere. Nata come alternativa “povera” alla pratica del bonsai, il kokedama è stata anche la principale fonte di ispirazione per il giovane designer venezuelano Alejandro Bataille che capisce di doversi dare alla sperimentazione, dopo aver scoperto che il cane gli aveva mangiato in 10 minuti un bonsai che aveva passato 10 anni a curare. I ricordi della sua infanzia a Caracas, del rigoglio delle piante tra le spaccature del cemento, delle radici che creavano dossi naturali sotto l’asfalto, lo ispirano nella realizzazione di kokedama molto particolari, che alla tradizionale forma sferica sostituiscono forme imprecise e sorprendenti che poi colloca su frammenti di cemento o pezzi di carozzeria. Sono piante che raccontano quella stessa tensione e resilienza dei germogli nel cemento cittadino, piccoli manufatti che esistono solo nella relazione con chi li possiede, che danno una forma concreta al concetto di prendersi cura della natura consapevolmente. Al di là delle ovvie riflessioni ecologiche, tornando al significato originario del kokedama, forse possiamo concentrarci sul concetto di prendersi cura, ugualmente valido per tutto ciò che vive.
In questa centonovantaseiesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, tra i RACCONTI trovate un testo a firma dell’architetto Franco Raggi dedicato all’allestimento da lui realizzato per la mostra Felicissimo Giani aperta ancora per la giornata di oggi a Palazzo Bentivoglio a Bologna; un estratto dell'introduzione del catalogo a firma di Cristiana Perrella, Direttrice Artistica del Milano Design Film Festival sull’undicesima edizione della manifestazione; e un racconto a firma di Annarita Briganti, scrittrice, giornalista di La Repubblica e opinionista televisiva, dedicato alla mostra Il Falò dei Gonfiabili di Pietro Moretti alla Collezione Giuseppe Iannaccone di Milano. Tra i VIDEO condividiamo un reel di Mario Trimarchi, protagonista della mostra Barricades alla galleria Antonia Jannone Disegni di Architettura di Milano, e un breve teaser dedicato alla mostra L’oniromante di Agostino Arrivabene negli spazi milanesi di Primo Marella Gallery. Gli EXTRA comprendono l'apertura della prima sede internazionale della galleria cinese Capsule Shanghai a Venezia; il secondo appuntamento del ciclo di incontri CASE da BASE Milano; e le nuove mostre del ciclo Sul Guardare con Berlinde de Bruyckere, Carol Rama, Giovanni Angelo Del Maino e Andrea Sala da XNL Piacenza.
Buona domenica e buona lettura! Lo staff di Lara Facco P&C #TeamLara
Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com
TELESCOPE. Racconti da lontano Ideato e diretto da Lara Facco Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana Ricerca ed editing Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Martina Fornasaro, Andrea Gardenghi, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Alessandro Ulleri, Margherita Villani, Marta Zanichelli, con la collaborazione di Margherita Animelli, Michela Colombo, Nicolò Fiammetti, Clara Fornaciari, Agata Miserere.
domenica 25 febbraio 2024 RACCONTI
Appunti per un allestimento morbido, di Franco Raggi*
Penso che Felice Giani sia vissuto in un periodo dove i ruoli erano molto chiari, almeno a me pare che lo fossero. Da una parte una classe aristocratica e abbiente con una visione del proprio ruolo politico simbolico ed economico e della necessità pubblica della sua rappresentazione. Rappresentazione diffusa di uno stato e di una storia doviziosa di immagini ricche, sontuose e adeguate alla affermazione dello status. L’architettura dei palazzi e la dilatazione decorativa dei loro interni facevano parte di un consolidato e riconosciuto gioco delle parti, gioco nel quale architetti, pittori e decoratori erano artefici della comunicazione visiva della qualità dei loro committenti. In questa società della rappresentazione abitata Felice Giani è un esempio alto di arte e di mestiere, di un modo colto e raffinato di costruire immagini forse anche retoriche e di soggetto aulico ma sempre aeree e leggere. Immagini nelle quali emergono un'attenzione analitica e quasi impressionista verso il paesaggio e la commistione sapiente tra natura e figure. Almeno questa è stata la mia impressione nello scorrere l’elenco delle opere da allestire all’interno del cinquecentesco Palazzo Bentivoglio, anzi nei suoi sotterranei. I problemi però erano due. Da una parte l’allestimento permanente della Galleria ricavata nei sotterranei del palazzo con un progetto colto, raffinato e privo di eccessi del quale vorrei ringraziare il suo autore Antonio Iascone che ha trasformato il ruvido spazio delle cantine in un percorso luminosamente monocromo, tecnico e funzionale ma non privo di poesia. Il secondo, la natura decorativa e vibrante del lavoro di Giani che richiedeva una collocazione neutra ma non banale capace di valorizzare l’opera senza cancellare la qualità austera dello spazio. Ho affidato allora la trasformazione leggera degli spazi a un gioco di sfondi: uno sfondo oro che trasforma la misura delle bianche pareti espositive esistenti e si estende anche sugli antichi abrasi muri in mattoni. Un secondo sfondo materico-cromatico per le opere giocato sulla qualità morbida e inattesa del feltro azzurro in grosso spessore, sollevato e sospeso rispetto agli sfondi dorati. Una parete morbida e inusuale per appendere dei quadri ma giusta per accentuare con materia e colore il nastro continuo del percorso. A segnare gli estremi delle fasce azzurre ho messo delle cuciture rosse a “zig-zag”, mio ricordo personale dei bordi di una poltrona in feltro di Rietveld della quale ho sempre amato gli spigoli.
*Franco Raggi, con la collaboratrice Erika Baffico, ha curato il progetto di allestimento della mostra Felicissimo Giani a cura di Tommaso Pasquali, ospitata ancora per la giornata di oggi domenica 25 febbraio negli spazi espositivi di Palazzo Bentivoglio a Bologna.
Crediti: Felicissimo Giani, a cura di Tommaso Pasquali, allestimento di Franco Raggi, Palazzo Bentivoglio, 2023, Foto Carlo Favero
Milano Design Film Festival, di Cristiana Perrella*
La scorsa edizione, il Milano Design Film Festival ha compiuto dieci anni e si è rinnovato, con un ottimo successo di spettatori e di critica, ponendosi l’obiettivo di raggiungere pubblici nuovi e diversi e di leggere il design e l’architettura anche da prospettive inedite. Il mondo del progetto è infatti da tempo in grande trasformazione, sempre più interessato a proporre modelli, a costruire scenari, piuttosto che a fare cose, a restituire e interpretare la complessità dell’ecosistema in cui viviamo prima che a immetterci nuovi prodotti. Molti designer oggi condividono un atteggiamento critico nei confronti delle dinamiche che sostengono un’economia di consumo e le sue conseguenze geopolitiche e propongono splendidi esempi di circolarità e integrità, rendendo attraente e auspicabile una visione costruttiva e rigenerativa del futuro, aiutandoci a pensare e ad affrontare il cambiamento necessario in un’epoca segnata da profonde crisi. I film in programma in questa 11° edizione restituiscono in modo sempre più preciso questa trasformazione, anche quando guardano al passato raccontano storie che parlano di futuro, visioni e personaggi che hanno saputo andare oltre il loro tempo, oltre gli steccati della loro disciplina. È il caso di Emilio Ambasz e del suo pionieristico approccio alla green architecture negli anni Settanta o dell’esperienza seminale e innovativa del gruppo radicale 9999 a Firenze, nello stesso periodo. O ancora delle utopie di Paolo Soleri e della sua Arcosanti cresciuta come un miraggio nel deserto dell’Arizona. Lo sguardo del festival è ampio e abbraccia temi e cinematografie che provengono da luoghi molto diversi: quest’anno due film straordinari raccontano l’architettura indiana, quello dedicato al maestro Balkrishna Vithaldas Doshi, recentemente scomparso, e quello che Beka & Lemoine – autori ormai di casa a MDFF con le loro immersioni per 24h nella vita di grandi protagonisti dell’architettura – tratteggiano di Bijoy Jain, fondatore di Studio Mumbai. Dall’India alla Cina, arriva da Hong Kong il documentario su M+, il nuovo museo dedicato all’arte cinese opera di Herzog e de Meuron, mentre da San Paolo, Brasile, Skin of Glass esplora la più grande “favela verticale”, l’architettura di Roger Zmekhol nata nel 1968 come esperimento modernista e poi occupata dai movimenti che lottano per il diritto alla casa. Un diritto che è al centro di molti dei film in programma, da The Architects of Hope, sulla ricostruzione dell’Ukraina martoriata dalla guerra, a 5Square, sul progetto di social housing di Barreca e La Varra, a On the Margins, su nuovi nuclei di coabitazione che si formano in Cina per superare la difficoltà di trovare alloggi a prezzi accessibili, tema comune anche a The Southern Thruway.
*estratto dal testo introduttivo del catalogo del Milano Design Film Festival a firma della Direttrice Artistica della 11° edizione che si terrà a Milano dal 6 al 10 marzo 2024. Scopri tutto il programma.
Crediti: [1] Still da Ask the Sand di Vittorio Bongiorno. Milano Design Film Festival 11, Official Selection, AFA Feature; [2] Still da Aldo Rossi Design di Mattia Colombo e Francesca Molteni. Milano Design Film Festival 11, Official Selection, DFA Short; [3] Still da Green Over Gray. Emilio Ambasz di Mattia Colombo e Francesca Molteni. Milano Design Film Festival 11, Official Selection, AFA Feature; [4] Still da Analogue Activity di Jim Stephenson. Milano Design Film Festival 11, Official Selection, AFA Short; [5] Still da Tactile Afferent di Formafantasma & Joanna Piotrowska. Milano Design Film Festival 11, Official Selection, DFA Short © Joanna Piotrowska and Formafantasma, Image Courtesy Fondazione In Between Art Film.
Il Falò dei Gonfiabili. Pietro Moretti alla Collezione Giuseppe Iannaccone, di Annarita Briganti
Il desiderio di appartenenza, la mascolinità tossica, le baby gang, la realtà su tela... ma la gioventù dei quadri di Pietro Moretti, in mostra dall’avvocato Giuseppe Iannaccone, non è del tutto bruciata perché finché c’è arte, c’è speranza. L’esposizione prende il titolo da uno dei suoi quadri più belli, Il falò dei gonfiabili, e vede l’artista, classe 1996, dialogare con opere della prima metà del Novecento della Collezione Giuseppe Iannaccone, fino al 24 aprile presso lo Studio Legale Iannaccone e Associati di Milano (prenotando con una email). Nel Falò, molto interessante anche dal punto di vista estetico, non solo per il suo “messaggio”, dei giovani bruciano i gonfiabili di un venditore ambulante, di notte, in spiaggia. Sullo sfondo, un ecomostro esistito realmente, a Torvaianica. In un altro quadro la colonia di gatti che è stata trovata nell’edificio abbandonato, prima di demolirlo. In un’altra opera i maschi del gruppo, del branco?, sono uniti dai lacci delle scarpe, ritratti di spalle. Danno le spalle al mondo, ma è anche il mondo degli adulti ad averli abbandonati, non se ne occupa, non li ascolta, non li educa alla bellezza. Mentre passiamo bruciando è un altro pezzo forte di una proposta artistica potente, contemporanea, nono appuntamento del progetto “In pratica”, a cura di Giuseppe Iannaccone e Daniele Fenaroli. Un altro spaccato di una gioventù possibile, di una scena che potremmo vedere nella realtà perché Moretti parte dal reale per poi trasfigurarlo con la sua pittura e con la fiction, in una narrazione influenzata pure dalla letteratura, dal cinema, dal fumetto e dalle immagini che internet ci propone con il suo loop spazio-temporale. Una ragazza nuda, lunghi capelli biondi e smalto dei piedi colorato, è sulle spalle di un ragazzo nudo, che guida un motorino che non c’è, immaginario, occhi chiusi e casco. A questa ragazza vorremmo dire di sciogliere quel legame probabilmente tossico, di cercare la sua strada, di pensare al senso delle possibilità. A vent’anni, e sempre, i sogni son desideri. E poi, un primo piano di un giovane uomo ne L’incendio e una nuca, su sfondo rosso, alla fine di un corridoio, in un dialogo, molto riuscito, con Pirandello, Scipione, Badodi, Birolli, Ziveri. “Un’opera è felice proprio quando riesce a generare un processo immaginativo” dice Pietro Moretti. “Quando crea un movimento nell’osservatore. Quando – detto da Kafka suona sempre meglio – diventa ‘un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è in noi’”. Che bello veder nascere un talento (italiano).
Crediti: In Pratica 9. Pietro Moretti. Il falò dei gonfiabili. Installation view Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano, 2023. Ph. Studio Vandrasch. Courtesy l'artista e Collezione Giuseppe Iannaccone VIDEO
![]() Elogio degli equilibri instabili
Fino al 6 aprile gli spazi di Antonia Jannone Disegni di Architettura a Milano, sono abitati dalle creazioni del designer e architetto Mario Trimarchi, Compasso d'Oro nel 2016 per la caffettiera Ossidiana di Alessi. Nell'esposizione intitolata Barricades, Trimarchi espone disegni a china su carta che considera un tramite per "capire meglio le cose" e sculture che raccontano come l'accumulo di materiali possa generare strutture poetiche. "Ho voluto costruire piccole architetture di frammenti in equilibrio instabile, case inesistenti con facciate appena accennate abitate da foglie, rondini, un asinello, una bandiera, e piccoli vasi di vetro per mettere i fiori al di sopra dei cannoni – dice Trimarchi – per evocare il tema delle barricades, che mi pare rappresentino simbolicamente la necessità odierna di scegliere, senza esitazione, da che parte stare."
Crediti immagine: Mario Trimarchi, Per fermare il tempo. © Santi Caleca ![]() Un viaggio oltre la realtà
Da qualche giorno ha aperto negli spazi milanesi di Primo Marella Gallery la mostra L'oniromante di Agostino Arrivabene, artista che ha fatto della tensione mistica e della ricerca del trascendente la principale fonte di ispirazione per opere pittoriche dall'innegabile fascino onirico. In questo video un breve assaggio della produzione in mostra capace di trasportare il pubblico oltre il reale, in un inno all'immaginazione e all'esplorazione del sogno e del fantastico. Il progetto espositivo, curato dallo stesso artista, il cui lavoro è stato esposto in gallerie e musei internazionali come il Panorama Museum di Badfrankenhausen, la Casa del Mantegna a Mantova, Palazzo dei Diamanti di Ferrara, è una sfida all'esplorazione della propria interiorità, con opere dall'altissima qualità che vogliono innescare un dialogo intimo con lo spettatore invitato a un viaggio in dimensioni iperuranie e simboliche.
Crediti immagine: Agostino Arrivabene, La mistica del berillio (omaggio ad Anima Mundi di William Butler Yeats), 2022, oil on linen, 114x172 cm, Courtesy Primo Marella Gallery EXTRA
![]() Nell'anno del drago
A pochi giorni dai festeggiamenti per il Capodanno cinese, che quest'anno celebra il segno del Drago, ha aperto ieri negli spazi della Fondazione Giorgio e Armanda Marchesani a Venezia, la prima sede internazionale di Capsule, la galleria fondata nel 2016 da Enrico Polato a Shanghai. Con la mostra When We Become Us², la galleria, che in Cina lavora principalmente con artisti emergenti nazionali e internazionali, presenta i lavori di 29 artisti internazionali dando il via a una programmazione annuale a cura di Manuela Lietti, curatrice, critica e co-autrice di pubblicazioni internazionali, strutturata in parallelo alla 60. Esposizione Internazionale d'Arte – La Biennale di Venezia. "Venezia è il luogo in cui tutto è iniziato – dice Enrico Polato – la città in cui ho studiato cinese e che ha alimentato la mia passione per la Cina, per la sua arte e per la sua cultura. La prima mostra di Capsule Venice si presenta come una versione potenziata della mostra inaugurale tenutasi a Shanghai nel 2016, e omaggia quell'indimenticabile giornata in cui con i nostri artisti siamo diventati parte di un'esperienza collettiva."
Crediti immagine: view of CAPSULE Venice, Venice, Italy. Courtesy of May. ![]() Alla ricerca della coesistenza planetaria
Mercoledì 28 febbraio alle 19.00 a BASE Milano, si terrà EUROPE EXPANDED il secondo appuntamento del programma CASE*: sarà una conversazione tra Rosario Talevi del centro di pedagogie ed ecologie alternative Floating University di Berlino, e Berta Gutierrez e Alkistis Thomidou parte del collettivo forty five degrees composto da architett e ricercator provenienti da Grecia, Italia, Germania, Francia e Spagna, impegnato a individuare casi-studio che testimoniano l'esistenza di comunità alternative lungo il 45º parallelo nord in Europa. Insieme cercheranno una risposta alla domanda: come costruire delle nuove basi per una coesistenza planetaria e locale basata sulla convivialità, sulla cura reciproca e la solidarietà? *CASE è il titolo del Public Program ideato da BASE Milano e co-curato da Erica Petrillo, dedicato ai temi della coesistenza e della coabitazione, parte del palinsesto 2024 di We Will Design, la piattaforma-laboratorio sperimentale che dal 2021, in occasione della Design Week, accoglie e promuove progetti di designer da tutto il mondo, scuole, università, istituzioni internazionali. L'ingresso è gratuito, partecipa qui ![]() SUL GUARDARE: II e III Atto
Nel 1971 John Berger ideava per la BBC la serie tv Ways of Seeing, da cui ha tratto libera ispirazione Paola Nicolin, Direttrice di XNL Arte, nella creazione del ciclo espositivo Sul Guardare, in cui invita artisti contemporanei a rileggere e interpretare il patrimonio diffuso in musei e collezioni della città di Piacenza. Grazie alla collaborazione con l'Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici della Diocesi di Piacenza-Bobbio e il suo Direttore Manuel Ferrari, dal 2 marzo l'istituzione piacentina presenta due nuovi capitoli del progetto – Atto II e Atto III – che vedranno protagonisti di un inedito dialogo Berlinde de Bruyckere (Gand, 1964) e Carol Rama (Torino, 1918-2015) con un'importante opera delle collezioni della Diocesi, di recente attribuita al noto scultore pavese Giovanni Angelo Del Maino, e Andrea Sala (Como, 1976) che realizza la sua prima mostra personale in un'istituzione italiana, mettendo in dialogo una nuova produzione scultorea e grafica con opere provenienti dai depositi del palazzo vescovile di Piacenza.
Crediti: Andrea Sala, studio per Zucca essicata, 2024, foto © Daniele Signaroldi Sei un giornalista, un critico, un curatore? Vuoi contribuire con un tuo scritto a una delle prossime edizioni di TELESCOPE? Scrivici su telescope@larafacco.com
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