EDITORIALE

 

Senza di lui non avremmo mai avuto il Telefono aragosta (1936) o il Divano Mae West (1936) di Salvador Dalì né la rivista d’arte contemporanea Minotaure (1903-1973); George Balachine non avrebbe potuto produrre i suoi balletti e Magritte non avrebbe mai realizzato La riproduzione vietata (1937), che lo ritrae di spalle. Ma soprattutto non esisterebbe quel delirio architettonico che si chiama Las Pozas (1947-1984), un parco scultoreo vicino alla città di Xilitla nel Messico centrale, un giardino surrealista immerso nella foresta subtropicale, per realizzare il quale mise all’asta quella che pare fosse la più bella collezione di opere surrealiste al mondo. Quest’uomo meravigliosamente assurdo, ricchissimo e poetico, che aveva fatto ricamare le orme del suo cane adorato sulla moquette dell’immensa casa di famiglia nel Sussex, era Edward William Frank James (1907-1984), mecenate e poeta britannico. Ma torniamo a quel pastiche un po' modernista, un po' eclettico, un po' Art Nouveau realizzato in Messico: senza dilungarci troppo sulla prima parte della vita dell’ultimo dei grandi eccentrici del Novecento – tra scuole di élite, jet set internazionale e amicizie con i più grandi artisti dell’epoca di cui diventa mecenate – vi basti sapere che, ispirato dal misticismo californiano, James decide di trasferirsi in Sudamerica per "allestire un Giardino dell'Eden" convinto che lì vi fosse "molto più spazio di quello che si può trovare in un centro della California meridionale". Las Pozas è un labirinto di percorsi sospesi, terrazze sul vuoto, piscine naturali e cascate, pali per scivolare ai piani inferiori al posto delle scale, volte e sculture mimetizzate nella natura in bilico tra nonsense e meraviglia, 36 edifici costruiti in cemento e pietra, in oltre trent’anni da 40 operai. Una casa che avrebbe completato la Natura, come voleva il suo proprietario, e i cui lavori infiniti si interruppero infatti alla sua morte, nel 1984.

 

In questa duecentoquattresima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, tra i RACCONTI trovate un contributo di Renato Diez, firma di Arte, dedicato alla mostra Preraffaelliti. Rinascimento moderno in corso al Museo Civico San Domenico di Forlì; un testo di Erka Shalari, contributor di Les Nouveaux Riches Magazin e Juliet Art Magazine, sulla mostra I just don't like eggs. Andrea Fraser on collectors, collecting, collections alla Fondazione Antonio Dalle Nogare di Bolzano; e un estratto dal testo della curatrice Leonie Radine nel catalogo della mostra Reinassance in corso al Museion di Bolzano.

Tra i VIDEO, vi proponiamo un reel sulla mostra Latente al Padiglione Uruguay alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia e uno dedicato alla mostra TRACCE COSMICHE del Padiglione del Perù.

Gli EXTRA comprendono tre mostre veneziane: Arena for a Tree, dell’artista svizzero Klaus Littmann, progetto di Kulturstiftung Basel H. Geiger in occasione della Biennale Arte; Nebula, la mostra di Fondazione In Between Art Film al Complesso dell’Ospedaletto; e la mostra Silentium, del pittore austriaco Eduard Angeli alla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova.

Infine, un BONUS TRACK dedicato alla Playlist creata dall'artista Massimo Bartolini per il progetto Due Qui / To Hear al Padiglione Italia della 60. Esposizione Internazionale d'Arte – La Biennale di Venezia.

 

Buona lettura!

Lo staff di Lara Facco P&C

#TeamLara

 

Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com

 

TELESCOPE. Racconti da lontano

Ideato e diretto da Lara Facco

Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana

Ricerca ed editing Stefania Arcari, Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Martina Fornasaro, Andrea Gardenghi, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Alessandro Ulleri, Margherita Villani, Marta Zanichelli, con la collaborazione di Margherita Animelli, Michela Colombo, Rossella De Toma, Nicolò Fiammetti, Clara Fornaciari, Sofia Gemelli, Agata Miserere e Alessandra Nervini.

 

domenica 21 aprile 2024


RACCONTI

 

 

Quando l’arte aveva il potere di cambiare la società. I Preraffaelliti al Museo Civico San Domenico di Forlì, di Renato Diez

 

Nel 1848, anno di rivoluzioni che incendiarono l’Europa, i Preraffaelliti (primo movimento artistico inglese) fondarono addirittura una confraternita. Dante Gabriel Rossetti, John Everett Millais e William Holman Hunt erano ventenni, il loro mentore, Ford Madox Brown aveva 27 anni. Sostenuti da due critici autorevoli come John Ruskin e Thomas Carlyle, si ribellarono agli insegnamenti della Royal Academy, che ancora seguiva la strada indicata in pieno Settecento da Joshua Reynolds. Sognavano un ritorno allo spirito del Medioevo e del primo Rinascimento, secoli che i Preraffaelliti percepivano come più vicini alla natura e a un ordine stabilito da Dio. Detestavano invece Raffaello, il grande maestro cui si riferiscono nel nome della loro confraternita: ai loro occhi rappresentava l’inizio di una pittura che aveva rinnegato quei principi per introdurre, dicevano, “un grandioso disprezzo della semplicità della verità, gli atteggiamenti pomposi degli Apostoli, e un’attitudine poco spirituale del Salvatore”. Attraverso 300 opere una mostra davvero sterminata, Preraffaelliti. Rinascimento moderno, esplora fino al 30 giugno il loro mondo nelle sale del Museo Civico San Domenico di Forlì.

E moderni, oltre che visionari, lo furono davvero. Anticiparono gli Impressionisti francesi portando le tele fuori dai loro atelier per dipingere a contatto con la natura, influenzarono un’intera generazione di pittori simbolisti, misero in scena una stupefacente attenzione per il dettaglio, parallelo al contemporaneo sviluppo della fotografia ed erano interessati alle ricerche scientifiche sull’erosione delle montagne e i movimenti dei ghiacciai. Quella dei Preraffaelliti era una sorprendente combinazione tra revivalismo e rifiuto delle regole stabilite dalla tradizione, come pure tra la visione fantastica di un mondo ormai distante nei secoli e l’amorevole precisione con la quale veniva dipinto. Non aveva alcuna importanza che il soggetto dei loro quadri descrivesse la natura, la vita moderna o un interno medievale. Potevano anche prelevarlo dalla letteratura, dal Nuovo Testamento o dalla mitologia classica, quel che per i Preraffaelliti contava era che l’arte aveva il potere di cambiare la società. Questa di Forlì è una mostra enciclopedica, arricchita da un catalogo di quasi 600 pagine (Dario Cimorelli Editore) che riesce a mettere in fila, con opere significative, tutti i protagonisti – anche i minori – di quell’emozionante stagione. Oltre Rossetti, Millais, Hunt e Maddox Brown sono infatti di scena, tra gli altri, grandi pittori del calibro di Frederic Leighton, John William Waterhouse, George Frederic Watts, John Roddam Spencer-Stanhope e John William Godward. Ma sono particolarmente emozionanti, in apertura della mostra, i dipinti dei grandi maestri italiani del passato che i Preraffaelliti guardavano come punti di riferimento insostituibili, da Cimabue e Beato Angelico a Benozzo Gozzoli e Andrea del Verrocchio, da Cosimo Rosselli a Sandro Botticelli. Tenendo sempre presente l’opinione di Richard Muther, un importante storico dell’arte tedesco di quel tempo, secondo cui la stella più luminosa tra i Preraffaelliti era quella di Dante Gabriel Rossetti: “Non ha preso in prestito nulla dai suoi contemporanei, ma tutti si sono ispirati a lui”.

 

Crediti: Installation view, Preraffaelliti. Rinascimento moderno, Museo Civico San Domenico, 2024; ph. Emanuele Rambaldi


 

Andrea Fraser e la sua prima retrospettiva in Italia, di Erka Shalari

 

In ginocchio accanto a una parete di marmo, dove sono scritti nomi dimenticati di mecenati e filantropi americani. Vicino riposa una sedia a rotelle. Questo tableau serve come preludio visivo alla retrospettiva della rinomata artista americana Andrea Fraser in Italia, intitolata I just don't like eggs. Andrea Fraser on collectors, collecting, collections. Curata da Andrea Viliani e Vittoria Pavesi, l'esposizione presso la Fondazione Antonio Dalle Nogare di Bolzano offre una selezione sorprendente di opere di Fraser incentrate sul tema del collezionismo. L'opera artistica di Fraser sfida la categorizzazione convenzionale, evitando mezzi tradizionali come la pittura o la scultura a favore della critica istituzionale, dell'arte performativa e delle installazioni video. La sua pratica è da lungo tempo caratterizzata da coinvolgimenti provocatori con il pubblico, che sia attraverso performance dal vivo, audioguide, aperture fittizie o pezzi controversi come Untitled, in cui Fraser ha rapporti sessuali in un hotel con un collezionista che non aveva mai incontrato e che ha pagato generosamente il suo rivenditore (1).

Cosa vogliono i collezionisti dall'arte? Nel corso dei decenni, o forse fin dai suoi inizi, l'artista ha ridefinito la dinamica del mondo dell'arte, sfidando le gerarchie nei musei, interrogando la natura della filantropia e del collezionismo, essendo "acquistata" o apprezzata, e dissezionando le dinamiche di potere inerenti al collezionare e all'esporre arte.

Le opere esposte attraversano diversi mezzi, tra cui film 16mm con estratti da performance passate, opere di testo, un'opera scultorea in tecnica mista di grandi dimensioni intitolata A Monument to Discarded Fantasies, composta da una miriade di tessuti trovati, maschere, copricapi, piume raccolte per le strade di Rio, subito dopo la fine di un carnevale (2), opera che ricorda fortemente il lavoro di Michelangelo Pistoletto La Venere degli Stracci. Mentre scrivo questo testo, mi perdo nella fantasia, facendo un salto indietro a tutte le mostre realizzate alla Fondazione Antonio Dalle Nogare, poi letture di riferimento, saltando da Marian Goodman Gallery alla pratica di Louise Lawler (artista collega che ha anche fotografato Fraser). Comincio a vedere il mare, maschere bellissime e bizzarre sparse, i copricapi, la piuma psichedelica e poi, proprio come in un sogno, in una piccola strada di una città piena di passaggi, vedo una piuma. Sono le 6 del mattino e non sono ancora pronta con il testo, ma ora posso sentire il lavoro. Concludo la notte di scrittura con un caffè in un bar cinese.

I just don't like eggs sarà in mostra fino al 22 febbraio 2025.

 

1. https://www.wnyc.org/story/114185-in-bed-with-the-collector/

2. https://www.deseret.com/2014/3/4/20463008/refuse-pickers-give-new-life-to-rio-carnival-trash/

 

Crediti: 'I just don't like eggs!'  Andrea Fraser on collectors, collecting, collections. Installation view, 2024. Ph. Jürgen Eheim. Courtesy Fondazione Antonio Dalle Nogare


 

RENAISSANCE. Introduzione, di Leonie Radine*

 

RENAISSANCE raccoglie una selezione di opere di giovani artiste e artisti di area altoatesina e milanese. Nonostante la diversità nelle loro pratiche, gli artisti e le artiste condividono, nel senso più ampio, un impegno per un confronto rigenerativo e critico con il proprio patrimonio culturale. Sia sul piano dei contenuti che su quello dei materiali, usano oggetti, immagini o metodi già visti e utilizzati per mettere a nudo elementi basilari o residui di modelli di rappresentazione estetica e sociale dominanti, al fine di fondare e far nascere su di essi il nuovo. Mentre alcuni e alcune indagano rituali, pratiche spirituali, storie di migrazione o storie familiari tramandate, altre e altri si concentrano sull'analisi critica e la rivalutazione di immagini pervasive della cultura popolare, finzioni urbane o ruoli di genere stereotipati in letteratura, cinema, design, architettura o pubblicità. Alcuni artisti e artiste si dedicano al riciclo di prodotti di scarto dell'industria creativa in cui a volte sono attivi, operando fra arte figurativa e arti applicate; tematizzano in modo transdisciplinare questioni di appartenenza, affermando che l'identità culturale è qualcosa di fluido e non immutabile. All'origine della mostra vi è una borsa di studio dell'importo di 60.000 franchi svizzeri che la Fondazione Vordemberge-Gildewart con sede in Svizzera assegna annualmente in collaborazione con un museo europeo – nel 2024 è la volta di Museion. All'inaugurazione della mostra una giuria internazionale ha assegnato il prestigioso premio all'artista Monia Ben Hamouda.

 

*introduzione al catalogo della mostra RENAISSANCE in corso da Museion a Bolzano fino al 1° settembre 2024

 

Crediti: [1] Monia Ben Hamouda, exhibition view RENAISSANCE, 2024, Museion. Photo: Luca Guadagnini [2] Isabella Costabile, exhibition view RENAISSANCE, 2024, Museion. Photo: Luca Guadagnini [3] Davide Stucchi, exhibition view RENAISSANCE, 2024, Museion. Photo: Luca Guadagnini [4] Giorgia Garzilli, exhibition view RENAISSANCE, 2024, Museion. Photo: Luca Guadagnini [5] Tobias Tavella, exhibition view RENAISSANCE, 2024, Museion. Photo: Luca Guadagnini


VIDEO

 

Una conversazione con Tintoretto

 

Si chiama Latente la mostra ospitata nel Padiglione Uruguay alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia. La mostra dell’artista Eduardo Cardozo a cura di Elisa Valerio, con la collaborazione di Álvaro Zinno, è stata scelta per la Biennale Arte 2024 per il suo carattere di progetto immersivo ispirato da una relazione a distanza tra l’artista uruguaiano e il veneziano Tintoretto. Fino al 24 novembre 2024, Latente racconta ai visitatori un dialogo in tre momenti: Il nudo, rappresentato da una parete dello studio di Cardozo trasferita a Venezia con la tecnica dello strappo, Le vesti, interpretazione di Cardozo di uno dei bozzetti del Paradiso di Tintoretto, e Il velo, un pezzo di stoffa fatto dai ritagli di tela grezza di cotone usati per trasferire la parete dello studio a Venezia. Una mostra che è un contrappunto tra Uruguay e Italia, una sorta di corteggiamento tra artisti che attraverso frammenti di entrambi ci coinvolge in un atto relazionale, in cui Cardozo approfondisce Tintoretto, Venezia e la sua stessa pratica di artista.

 

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Crediti immagine: © Alvaro Zinno


Una fotografia della foresta

 

Immaginate di dispiegare un rotolo di carta fotosensibile di 30 metri sotto una palma altissima nel Parco Nazionale Bahuaja Sonene nella giungla peruviana durante un temporale, permettendo ai fulmini di impressionare con le loro tracce la pellicola durante la notte. Otterrete un fotogramma gigantesco, lo stesso che ha realizzato l’artista Roberto Huarcaya e che fa da sfondo a una scultura a forma di canoa dell’artista Antonio Pareja e una composizione sonora per pianoforte ideata da Mariano Zuzunaga. Per il Padiglione del Perù di questa edizione della Biennale Arte, è stato scelto questo progetto, dal titolo TRACCE COSMICHE, a cura di Alejandro León Cannock, che ha coinvolto a livello curatoriale anche Joan Fontcuberta, Andrea Jösch e Amanda Antunes. Un progetto che nell'incontro tra fotografia, installazione e arte ambientale sfida il nostro approccio alla rappresentazione dell'ambiente, creando un rifugio rituale immersivo e fugace, progettato per risvegliare la coscienza, accendere l'immaginazione e promuovere la riflessione.

 

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Crediti immagine: Cosmic Traces by Roberto Huaracaya, Peruvian Pavilion, La Biennale di Venezia 2024


EXTRA

 

Un albero sull'acqua

 

Il cipresso calvo può assorbire fino a 800 litri di acqua al giorno, raffreddare l'atmosfera e resistere alle sfide del cambiamento climatico, alcune delle quali saranno quelle che dovrà affrontare Venezia in futuro. Con Arena for a Tree, progetto itinerante di Kulturstiftung Basel H. Geiger, si vuole trasmettere un messaggio importante su riscaldamento globale e sostenibilità in occasione della 60° edizione della Biennale Arte. Progettata dall’artista svizzero Klaus Littmann e realizzata da Schnetzer Puskas Engineers, l'installazione è composta da una struttura in legno alta 7 metri sospesa sull’acqua, al centro del quale si trova un cipresso calvo, varietà che nel corso delle ere ha abitato varie aree del nostro pianeta e ben si presta a incarnare il tema della Biennale 2024 Stranieri Ovunque - Foreigners Everywhere. Sullo sfondo dell’Arsenale Nord, l'installazione, allo stesso tempo scultura, architettura e podio, può ospitare 50 persone, creando un'esperienza intima.

Arena for a Tree è stata resa possibile grazie al sostegno di Kulturstiftung Basel H. Geiger | KBH.G, alla collaborazione con ECC Italy - European Cultural Centre, e al generoso sostegno di Comune di Venezia e autorità portuali.

 

Crediti: Arena for a Tree - an art installation by Klaus Littmann, Venice, 2024. Photo: Federico Vespignani


Come la nebbia

 

Sono Basel Abbas e Ruanne Abou-Rahme, Giorgio Andreotta Calò, Saodat Ismailova, Cinthia Marcelle e Tiago Mata Machado, Diego Marcon, Basir Mahmood, Ari Benjamin Meyers e Christian Nyampeta gli artisti protagonisti di Nebula la mostra di Fondazione In Between Art Film – istituzione concepita da Beatrice Bulgari per promuovere la cultura delle immagini in movimento e sostenere artisti, musei e teorici internazionali che esplorano il dialogo tra discipline e time-based media – al Complesso dell'Ospedaletto a Venezia. Fino al 24 novembre 2024 l'esposizione, a cura di Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi – rispettivamente direttore artistico e curatore della Fondazione – si ispira al fenomeno atmosferico della nebbia intesa come condizione materiale e metaforica, e compone un percorso tra le opere, commissionate e prodotte dalla Fondazione, che esplorano forme di frammentazione psicologica, socio-politica, tecnologica e storica, suggerendo nuove modalità per navigare il presente, spesso attraversato da elementi che, come la nebbia, sembrano immateriali e insormontabili.

 

Crediti: Basir Mahmood, Brown Bodies in an Open Landscape are Often Migrating,2024 in “Nebula”, Fondazione In Between Art Film presso Complesso dell’Ospedaletto, Venezia,2024 .Courtesy dell’artista e Fondazione In Between Art Film. Foto: Lorenzo Palmieri


Il Silentium di Angeli

 

Il 12 novembre 2019, Venezia viene colpita dalla più grave acqua alta registrata dagli anni Sessanta: in quell’occasione lo studio dell’artista Eduard Angeli viene completamente allagato; questo fatto lo sconvolge al punto che abbandona la città dove aveva scelto di vivere, per tornare a Vienna.

Fino al 24 novembre 2024 la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova di Venezia ospita negli spazi del Magazzino del Sale alle Zattere Silentium, la mostra personale del pittore austriaco Eduard Angeli a cura di Philip Rylands. In mostra un corpus di quattordici opere dall’affascinante immobilità e assenza di persone, tutte caratterizzate da un silenzio assordante di cui una Venezia Minore e non scontata, è assoluta protagonista.

 

Crediti: Ph. Michele Crosera

 

 


 

BONUS TRACK

 

L'arte dell'ascolto

 

Due qui / To Hear: partendo dalla traduzione apparentemente sbagliata, “Two here” (due qui) e “To hear” (sentire/udire), il titolo del progetto di Massimo Bartolini (a cura di Luca Cerizza con l'assistenza di Francesca Verga) per il Padiglione Italia alla Biennale Arte suggerisce già come l’ascoltare, il “tendere l’orecchio”, sia una forma di azione verso l’altro. Incontro e ascolto, relazione e suono sono, d’altronde, elementi indissolubili nella pratica ultratrentennale dell'arista. Il paradigma acustico va letto, quindi, sia come esperienza fisica che come metafora e invito all’attenzione, all’apertura verso l’altro.

Vi proponiamo quindi di immergervi nella playlist creata da Massimo Bartolini come "accompagnamento" al Padiglione Italia, per predisporvi all'incontro e all'ascolto come suggerito dal progetto e dall'artista.

Ascolta

 

 


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