EDITORIALE
Nella collezione del Philadelphia Museum of Art c’è un cappello fatto con una gonna a cerchio del 1860, fiori vintage con perline, foglie decorative di modisteria, cordoncini e tessuto metallico, bustine di tè usate e cartoni di uova: è l’Hoop Hat realizzato nel 1993 dall’artista e designer Debra Rapoport (USA 1945). Studentessa di Ed Rossbach, icona di stile, maestra della reinvenzione sempre attenta all’ambiente, Debra crea, da quando aveva solo tre anni, accessori per il corpo utilizzando tutto quello che trova: dallo spago ai rottami metallici, dai nastri di videocassette a fazzoletti di carta e rotoli di carta igienica (di cui ha sempre amato la forma). Il suo lavoro, esposto in tutto il mondo e parte delle collezioni di grandi musei come il Metropolitan Museum of Art, il County Museum di Los Angeles, il Museum of Fine Arts di Houston e il MoMA di New York, ha molto a che fare con la ricerca della verità, di quello che ci rende felici. “Ho un mantra chiamato le quattro T. – Dice l’artista in una recente intervista – La prima è la verità (Truth). Tutti conosciamo la nostra verità, è solo stata sepolta molto in fondo a noi stessi. Se andiamo nel profondo, sappiamo chi siamo. Dobbiamo soltanto fidarci (Trust). La nostra cultura vuole che giudichiamo, critichiamo e diciamo 'no, non posso davvero fidarmi'. Ma lo devi fare ed essere tollerante (Tolerance). Devi tollerare te stesso, il contesto in cui ti trovi e dire 'sì, ecco chi sono'. E poi devi abbracciare tutto questo con tenerezza (Tenderness), e metterlo semplicemente là fuori, nel mondo, dando anche agli altri lo spazio per vivere le loro quattro T”. Con le sue collane fatte di forchette e cucchiai di plastica, le sue stole di tessuti, nastri, e oggetti recuperati, i suoi stravaganti e bellissimi cappelli costruiti con tappi di sughero, gomma piuma, vecchi guanti e tutto quello che trova, Debra spera di ispirare le persone a scoprire il piacere della creatività perché “Dove c’è creatività, non ci sono regole. Dove non ci sono regole, non c’è paura. Siamo così abituati a cercare di stare in una scatola, e questo ci sta uccidendo. Penso che dobbiamo superare tutte le regole per essere liberi”. Perché l’arte è una forma di meditazione e creare può essere un modo di ritrovarsi.
In questa duecentotrentottesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, tra i RACCONTI trovate un contributo di Sabrina Vedovotto, storica dell'arte, curatrice e critica indipendente, su EUR _Asia il nuovo percorso dedicato alle arti e culture asiatiche del Museo delle Civiltà di Roma; un estratto dal saggio critico di Tommaso Pasquali, curatore della mostra Riassunto delle puntate precedenti. La collezione Stame-Lanteri, in corso a Palazzo Bentivoglio a Bologna; un estratto dal testo di Howard Greenberg nel catalogo della mostra di Martin Munkácsi in corso alla Galleria Paci di Brescia. Tra i VIDEO proponiamo un'introduzione alla mostra Poesia e pittura nel Seicento. Giovan Battista Marino e la meravigliosa passione in corso alla Galleria Borghese e un video dedicato ai risultati di Cambi Casa d’Aste per l’anno 2024. Gli EXTRA comprendono la mostra CAROL RAMA. Unique Multiples nella sede di Villa delle Rose del MAMbo di Bologna realizzata in collaborazione con Jacobacci & Partners; l’esposizione Bruno De Toffoli. L’avventura spazialista negli spazi della Fondazione Alberto Peruzzo di Padova; e Cambio de Fuerza la prima mostra in Italia di Adrián Balseca al PAV - Parco Arte Vivente di Torino.
Buona lettura! Lo staff di Lara Facco P&C #TeamLara
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TELESCOPE. Racconti da lontano Ideato e diretto da Lara Facco Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana Ricerca ed editing Stefania Arcari, Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Andrea Gardenghi, Marianita Santarossa, Denise Solenghi, Margherita Villani, Marta Zanichelli, con la collaborazione di Francesca Ogliari e Ottavia Anselmi, Federica Bolognini, Rachele Caretta, Rossella De Toma, Nicolò Fiammetti, Giulia Maggi, Matilde Melis, Lucio Serena.
domenica 19 gennaio 2025 RACCONTI
Chi sono io per dire no? Una visita al Museo delle Civiltà, di Sabrina Vedovotto
Quella con il Museo delle Civiltà è una storia d’amore fatta di incomprensioni, di non ascolto, di dubbi. Come la più tipica delle storie d’amore però, una volta abbattuti i muri dei malintesi, si è fatta potente ed unica. Andiamo ai fatti. So che il museo che fin da piccola conosco erroneamente come il Pigorini sta facendo grandi cambiamenti grazie al suo direttore Viliani con la collaborazione di Matteo Lucchetti e al lavoro dei funzionari. Sono andata più volte alle inaugurazioni, perché il progetto è complesso e, per metterlo tutto a sistema, il percorso è ancora lungo, se non erro la conclusione dovrebbe essere nel 2026. Ma è all’ennesima mia visita privata che finalmente capisco e comprendo la meraviglia di questo progetto, che ancora deve essere ultimato, come dicevo poc’anzi. Il museo, più che dare solamente risposte, finalmente si pone dei quesiti, si fa delle domande, rispetto a tanti elementi dati per scontati nel nostro mondo. A partire dal concetto di Museologia, che qui viene completamente messo a soqquadro, e la cosa mi piace assai, perché, tra le altre cose, insegno in Accademia a Frosinone una materia affine alla museologia, e quindi il mio interesse è duplice. È un museo con delle potenzialità pazzesche, enormi, che può avere tante letture. Si può continuare a fare una visita tradizionale come si faceva quando ero bambina, ma la vera sfida è provare a seguire le tracce che vengono date per una rilettura che dia ampio spazio a quelli che sono nuovi possibili modelli. La e in corsivo che troviamo nella preposizione “delle”, ci deve far aprire la mente su tanti interrogativi che stiamo iniziando a porci, come uomini e donne nate nell’occidente – non necessariamente la parte migliore del mondo –, per alcuni versi solo economicamente più fortunata. Ma questo non basta più per una comprensione "delle civiltà". L’attenzione forse dovremmo porla a una coralità di civiltà, che sommate ci possano dare una visione, anch’essa possibilmente molteplice. Insomma, come dicevo gli interrogativi sono tanti, e le soluzioni non molte, ma probabilmente non ci interessano nemmeno. Ciò che invece diventa, secondo me, fondamentale, è entrare nel museo e immergersi nelle diverse varianti che troviamo, lasciando a casa il punto di vista dello spettatore tradizionale per avere una più agile rilettura della storia, anzi delle storie. Preistoria, civiltà, tradizioni. Il museo prova a dare dei codici che siano trasversali, non unicamente seguendo un ordine cronologico. Ed è per questo che la combinazione con le opere d’arte contemporanee è centrata e centrale. L’arte è tutta contemporanea, diceva qualcuno. Nel seguire i vari percorsi, il museo è grande e davvero vale la pena andarci più di una volta, girovagando tra un piano e l’altro, a un certo punto mi è venuto in mente il famoso ATLANTE MNEMOSYNE DI ABY WARBURG, in cui le immagini e le forme ricorrenti vanno aldilà del trascorrere del tempo e dei luoghi apparentemente lontani. Gli artisti contemporanei, che sono stati invitati a confrontarsi e a ragionare con le collezioni del museo, che sono tanti e in numero sempre crescente, tentano di contribuire ad attivare nuovi palinsesti, atti a sostenere nuovi spunti di riflessione. E chi sono io per dire di no?
Crediti: Museo delle Civiltà, EUR_Asia e Gala Porras-Kim. A Recollection Returns with a Soft Touch. Installation view © Giorgio Benni
CAMPANELLO STAME, PIANO NOBILE, di Tommaso Pasquali*
“Ti piace la pittura, eh? Morandi lo conosci... è bolognese!”, un piccolo riff ossessivo di Piero Umiliani accompagna Renato Salvatori mentre osserva una Natura morta con fruttiera, il Vitali 609, nella casa di un amico facoltoso che gli sta prestando del denaro. Poco prima, oltre una porta, si è visto di sfuggita un Concetto spaziale di Fontana. È il 1964 e la troupe di Una bella grinta di Giuliano Montaldo non sta girando in un teatro di posa, ma nel grande appartamento al primo piano di Palazzo Bentivoglio dove, per mezzo secolo, si sono consumate le vicende di un’articolata collezione d’arte del Novecento. Frammentata oggi in diversi nuclei, in Italia e all’estero, era la manifestazione su parete della lunga avventura intellettuale di un notaio bolognese, Antonio Stame (1909-2000), dagli entusiasmi giovanili, coltivati nella bohème di un salotto ospitato con la prima moglie Anna Maria Crocioni (1910-1978), fino alla più impegnata stagione collezionistica insieme alla collega notaia Vincenzina Lanteri (1929-2019), cui è legato dal 1961. Tentare di ripercorrere, con una mostra e un catalogo, quella che un giovane gallerista di rottura come Fabio Sargentini poteva definire nel 1965 “una delle poche raccolte veramente ‘attuali’ in Bologna” significa confrontarsi con anni cruciali per le ricerche artistiche in Italia, con la nascita e lo sviluppo del sistema delle gallerie e, soprattutto, con il territorio poco esplorato del medio collezionismo italiano di allora. Farlo a partire dalla prospettiva periferica di un episodio non ancora registrato né discusso consente di fissare qualche nuova coordinata stabile senza l’attesa di tracciarne una mappa sistematica. È un progetto che deve tutto alla disponibilità di molte persone, ma che ha ricevuto un supporto altrettanto essenziale dallo stesso Antonio Stame, il quale, per tutta la sua vita di collezionista, tenne aggiornato con precisione notarile un registro delle acquisizioni fornito di date, luoghi e prezzi delle opere. Nell’asciuttezza tipica delle annotazioni tecniche, il Catalogo – come il notaio lo intitola a pennarello sulla copertina, e come lo si indica di qui in poi – racconta un repertorio di conferme e cambiamenti di priorità, di mancanze eloquenti e desideri invece appagati. Dal 1946 al 1989, anno in cui Stame perde la vista e interrompe gli acquisti, il Catalogo conta 324 numeri d’inventario fra pezzi unici e multipli, fra la maggioranza delle opere rimaste in collezione fino al definitivo frazionamento e le poche altre rivendute, permutate o distrutte perché rivelatesi false. Scorrere diacronicamente il documento permette uno sguardo su un percorso personale, ma sensibile alle idee che cambiano e alle novità critiche. Ha una sua fisionomia specifica, tesa dal tempo delle Avanguardie storiche fino alla figurazione Pop, ma si concede il lusso privato di contravvenire a un metodo: non corrisponde a un processo lineare, né può essere sempre letta come una perfetta stratigrafia delle stagioni del gusto borghese.
*Estratto dal saggio nel catalogo della mostra Riassunto delle puntate precedenti. La collezione Stame-Lanteri, a cura di Tommaso Pasquali, in corso a Palazzo Bentivoglio fino al 23 febbraio 2025.
Crediti: Riassunto delle puntate precedenti. La collezione Stame-Lanteri, a cura di Tommaso Pasquali, allestimento di Ferruccio Laviani, Palazzo Bentivoglio, Bologna, 2024. Ph. Carlo Favero
Martin Munkácsi. Una introduzione, di Howard Greenberg*
Nei primi anni della mia carriera, man mano che la fotografia si andava evolvendo, uno dei pochi libri di riferimento disponibili era Avant-Garde Photography in Germany, 1919-1939. Fu lì che scoprii Martin Munkácsi e appresi che aveva esordito come fotografo sportivo a Budapest, e nel 1927 era stato assunto dal prestigioso periodico illustrato Berliner Illustrirte Zeitung. Nei sette anni successivi fu libero di girare il mondo in lungo e largo e realizzare reportage fotografici: in Europa quella era l’epoca d’oro delle riviste illustrate. Nel 1933, Munkácsi fu invitato da William Randolph Hearst nel suo castello in California, dove conobbe la celebre giornalista di moda Carmel Snow, Charlie Chaplin e altri. In quell’occasione lo convinsero a trasferirsi in America per lavorare come collaboratore di Harper’s Bazaar. La sua sensibilità creativa – il ‘Munkácsi look’, come venne chiamato, uno stile dinamico e ricco di glamour con scatti spesso realizzati all’aria aperta – divenne ben presto una tendenza che influenzò la fotografia di moda e i ritratti delle celebrità, dominati fino a quel momento dallo stile di Edward Steichen e dall’estetica compassata degli studi di Vogue. Munkácsi portò una ventata di rinnovamento nel concetto stesso di fotografia e rivoluzionò l’impronta visiva delle riviste. Con mia grande sorpresa, nel 1982, mentre la mia prima galleria a Woodstock (New York) stava guadagnando visibilità, qualcuno mi disse che la figlia di Munkácsi, Joan, viveva in città. Ci presentarono e da lì iniziò uno dei rapporti più importanti della mia vita: un legame cruciale che contribuì a lanciarmi come gallerista. I pochi curatori museali e collezionisti di fotografia conoscevano già Munkácsi; tuttavia, a parte una piccola serie di stampe d’epoca rilasciata dall’agenzia fotografica tedesca Ullstein, nessuno aveva accesso alle sue fotografie. Ci volle un po’ perché Joan comprendesse l’importanza di collocare il piccolo ma significativo numero di vecchie stampe presso alcune prestigiose collezioni. Appena mi permise di farlo, ogni grande museo e ogni collezionista fecero la stessa cosa. Finalmente fu chiaro a tutti che Munkácsi rappresentava un importantissimo anello mancante nella storia della fotografia tra le due guerre. La sua influenza è stata significativa sotto molti aspetti. Nell’introduzione alla monografia intitolata Style in Motion, pubblicata nel 1979, Henri Cartier-Bresson scrive che fu proprio una fotografia di Munkácsi (Liberia, 1931) a ispirargli il concetto di ‘momento decisivo’, cambiando il suo approccio alla creazione delle immagini e influenzando, di conseguenza, intere generazioni di fotografi.
*Estratto dal saggio nel catalogo della mostra Martin Munkácsi. Think While You Shoot in corso alla Galleria Paci di Brescia fino al 30 marzo 2025.
Crediti: Installation view, Martin Munkacsi. Think while You shoot, 2024. PACI CONTEMPORARY GALLERY VIDEO
![]() Ritratto di Giovan Battista
1619: a Parigi Frans Pourbus ritrae Giovan Battista Marino nelle vesti di poeta di corte, con in evidenza i simboli del Cavalierato dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazaro e in mano un libro, probabile allusione all'Adone, il suo poema di maggior successo che verrà pubblicato nel 1623. Questo intenso ritratto è attualmente esposto alla Galleria Borghese nell'ambito della mostra Poesia e pittura nel Seicento. Giovan Battista Marino e la meravigliosa passione a cura di Emilio Russo, Patrizia Tosini e Andrea Zezza con Beatrice Tomei (protagonista di questo video). Fino al 9 febbraio, seguendo la traccia offerta dai testi del poeta seicentesco, la mostra disegna nelle sale della Galleria un percorso attraverso la grande arte rinascimentale e barocca, da Tiziano a Tintoretto, da Correggio ai Carracci, da Rubens a Poussin, celebrando un grande poeta italiano e la sua "meravigliosa" passione per la pittura.
Crediti immagine: Poesia e pittura nel Seicento. Giovan Battista Marino e la meravigliosa passione. Installation view, Galleria Borghese, Roma ![]() Grandi risultati
Con 99 aste, oltre 27.000 lotti, un tasso di vendita del 60% e un fatturato record di oltre 41 milioni di euro, Cambi Casa d'Aste chiude il 2024 con risultati straordinari che testimoniano l'efficacia di una strategia aziendale che ha saputo combinare tradizione e innovazione, e che con gli oltre 5 milioni fatturati dal dipartimento Dipinti e Disegni Antichi, i 10 milioni del settore Luxury e gli ottimi risultati registrati anche dal Design, la Numismatica e l'Arte Orientale conferma il ruolo della maison come punto di riferimento per il collezionismo non solo italiano ma anche internazionale (il 39% del valore delle vendite proviene da clienti stranieri). Il 2025 si apre con due appuntamenti dedicati al design e la fotografia a gennaio e all'arte orientale a febbraio, in attesa di una primavera ricca di novità.
Crediti immagine: © Cambi Casa d'Aste EXTRA
![]() Carol Rama a Bologna
Dal 25 gennaio il MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna presenta, nella sede di Villa delle Rose, la mostra CAROL RAMA. Unique Multiples, a cura di Elena Re, un progetto realizzato in collaborazione con Jacobacci & Partners nell'ambito del progetto Fuorisede, che rientra nel programma istituzionale di ART CITY Bologna 2025 realizzato in occasione di Arte Fiera. La mostra mette in luce l'importante corpus di multipli prodotto da Carol Rama tra il 1993 e il 2005 con Franco Masoero Edizioni d'Arte, proveniente dalla Collezione Franco Masoero e Alexandra Wetzel, espressione di un'esperienza molto intensa durata più di dieci anni. Attraverso questi multipli, l'artista ha ripercorso tutti i grandi temi che compongono il suo mondo, e la mostra intende attraversare questi stessi territori. La vita e le passioni di Rama entrano dunque in scena: da una sala all'altra, personaggi, seduzioni, feticci, idilli, si alternano e ricostruiscono una storia. Da non perdere.
Crediti: Carol Rama, Seduzione (mano), 2004. Acquaforte su carta Moulin du Pombier, 16 x 23,5 cm. Tiratura: 100 + X, con intervento dell’artista, successivo alla stampa, a smalto rosso e oro. Es. V/X. © Archivio Carol Rama, Torino ![]() Avventure spazialiste
Proseguendo un percorso di valorizzazione delle figure rilevanti della storia dell’arte legate al territorio veneto, alla Fondazione Alberto Peruzzo di Padova è ancora in corso, fino al 4 maggio 2025, la mostra Bruno De Toffoli. L’avventura spazialista, a cura di Luca Massimo Barbero, che esplora l'opera di De Toffoli, artista ancora da scoprire pienamente, allievo di Arturo Martini e firmatario con Lucio Fontana del Manifesto dello Spazialismo per la televisione nel 1952. Un artista che ha contribuito in modo significativo alla storia dell’arte italiana dell’epoca, di cui un importante gruppo scultoreo dalla Collezione Intesa Sanpaolo – che custodisce il nucleo più importante di opere spazialiste dell'artista – abita gli spazi restaurati dell’ex chiesa di Sant’Agnese a Padova. Il percorso espositivo comprende anche un sostanziale numero di opere spazialiste dalla Collezione permanente della Fondazione, tra cui lavori di maestri come Fontana, Dadamaino, Scheggi e Bonalumi.
Crediti: Bruno De Toffoli. L’avventura spazialista, Installation view, Fondazione Alberto Peruzzo, Padova © Ugo Carmeni 2024 ![]() Cambio de Fuerza
Fino al 15 febbraio 2025 negli spazi del PAV Parco Arte Vivente di Torino è in corso la prima mostra italiana di Adrián Balseca, Cambio de Fuerza, a cura di Marco Scotini. La mostra dell'artista ecuadoregno indaga il ruolo dell'essere umano come attore dell'ecosistema, illuminando i rapporti tra economia, ecologia e memoria, le dinamiche di potere legate all'estrattivismo e lo sfruttamento della Natura. Attraverso narrazioni che combinano fatti reali, archivi storici, etno-fiction e memoria, Balseca presenta una serie di progetti realizzati negli ultimi dieci anni, che si concentrano sulle storie locali del suo paese. Cambio de fuerza fa riferimento allo slogan "La fuerza del cambio" (la forza del cambiamento) utilizzato alla fine degli anni Settanta da Jaime Roldós Aguilera in campagna elettorale; sarà poi il primo presidente democraticamente eletto dopo la dittatura, rimasto in carica fino al 1981. Ridefinendo il contenuto della frase, l'artista si chiede fino a che punto il desiderio politico di cambiamento possa diventare un'idea più pragmatica, allargandosi al campo dell'ecologia politica.
Crediti: Adrián Balseca, The Unbalanced Land, 2019. 35mm slide photograph, 25,5 cm x 16 cm. Courtesy the artist and PAV - Parco Arte Vivente, Torino Sei un giornalista, un critico, un curatore? Vuoi contribuire con un tuo scritto a una delle prossime edizioni di TELESCOPE? Scrivici su telescope@larafacco.com
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