Anno | 2020 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Italia |
Durata | 83 minuti |
Regia di | Ilaria Freccia |
Uscita | sabato 12 giugno 2021 |
Tag | Da vedere 2020 |
Distribuzione | Cinecittà Luce |
MYmonetro | Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 3 recensioni. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 11 giugno 2021
Un racconto dell'Italia quando, tra gli anni '60 e '70, era al centro del fermento culturale. In Italia al Box Office La rivoluzione siamo noi ha incassato 2,4 mila euro .
CONSIGLIATO SÌ
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1967-1977: un decennio che ha cambiato la società e l'assetto dell'arte contemporanea, uscita dai musei e dalle gallerie formali per riversarsi in strada, o in spazi alternativi, all'insegna della libertà espressiva. A Torino e a Roma, a Milano e a Napoli, a Venezia e ad Amalfi, l'arte sottolinea le contraddizioni dell'epoca, si unisce alle proteste sindacali e ai movimenti giovanili, e realizza opere concentrandosi non più sull'oggetto ma su azioni e performance che coinvolgono direttamente il pubblico, determinando un impatto sociale pronto a diventare politico. La rivoluzione siamo noi cita Joseph Beuys, uno degli esponenti di spicco di questo nuovo modo di intendere un'arte "fuori dai sistemi vetusti della cultura", per ripercorrere quegli anni ruggenti, tracimanti creatività ed entusiasmo, e convinti di poter cambiare il mondo.
Da Michelangelo Pistoletto a Mario Merz, da Alighiero Boetti a Pino Pascali, da Gino De Dominicis a Luigi Ontani, ma anche Marina Abramovich, Andy Warhol, Jannis Kounellis, Cy Twombly, Carl Andre, Christo, Trisha Brown o Hermann Nitsch, passati dall'Italia in quegli anni in una "internazionalità avventurosa" che azzerava i confini con Europa e America, tutti testimoni - in interviste d'epoca o realizzate ad hoc per il bel documentario di Ilaria Freccia - di una stagione indimenticabile.
Freccia ricostruisce quel momento restituendone l'energia vitale, l'esplosività sovversiva, l'intenzione radicale. Arte, poesia, spettacolo, cinema, architettura, danza, fotografia, confluiscono in un unico fiume travolgente, che la regista segue senza tentare di arginarlo, attingendo a materiali d'archivio inediti.
Molti i commenti dei galleristi dell'epoca come Fabio Sargentini, ideatore di quell'Attico che era spazio "installativo e performatico", "contenitore che orienta il contenuto". O come Lia Rumma, Tucci Russo, Lucio Amelio o Peppe Morra, e di critici come Germano Celant o Achille Bonito Oliva. Ognuno contribuisce al puzzle di un fermento artistico che ha coinciso con quello giovanile e sindacale per trasformare la società in tempi rapidissimi, anche se non necessariamente permanenti.
Del resto effimera era la natura stessa delle azioni artistiche e delle esposizioni dell'epoca: tre giorni per riempire uno spazio di acqua o di cavalli, e poi svuotarlo senza esitazione. Dieci anni per creare nuove regole del gioco, trasformare l'opera d'arte in gesto, e appropriarsi di spazi aperti e inusuali in una "occupazione totale del mondo", assottigliando il limite tra arte e vita, anticipando le svolte della politica.
Anche la presenza limitata delle donne, spesso geishe degli artisti o statuine confinate sotto igloo trasparenti, è un segno di tempi in cui "la situazione prevedeva la donna come oggetto", e fa risaltare rivoluzionarie come Abramovic o Brown: in coda al documentario c'è una manifestazione in cui si inneggia al ritorno delle streghe. E fa bene rivedere un momento storico durante il quale c'era la volontà rivoluzionaria di cambiare attraverso lo scambio collettivo, la partecipazione pubblica, l'occupazione delle piazze: il contrario dell'isolamento forzato contemporaneo, che tanto comodo fa a chi vuole ritornare ad un passato più facilmente controllabile.
Quel decennio è stato un'epoca di grandi speranze, e come ricorda Beuys nella sua citazione finale, bisogna "proteggere la fiamma, perché se non lo fai, prima di rendertene conto arriva il vento a spegnerla: quello stesso vento che l'aveva alimentata".
Il pregio maggiore del documentario di Ilaria Freccia, nato da un'idea della stessa regista e di Ludovico Pratesi e presentato fuori concorso al Torino Film Festival 2020, è quello di dare, per una volta, le cose per scontate. Il mondo dell'arte in Italia tra la metà degli anni 60 e la fine dei 70 è raccontato nel film senza troppi preamboli didascalici (giusto qualche frase introduttiva), entrando [...] Vai alla recensione »
Folgorante l'inizio di La rivoluzione siamo noi (Arte in Italia, 1967/1977), da un'idea di Ludovico Pratesi e Ilaria Freccia, diretto dalla stessa Freccia: scritte rosse su sfondo nero dalle quali emerge un Michelangelo Pistoletto b/n che spiega in poche e puntuali parole l'origine dell'arte stessa, il gesto artistico e sociale per antonomasia, quello del primo essere umano che nelle grotte di Lascaux [...] Vai alla recensione »